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Galassia - La Tribuna - Scritta Galassia stretta

 
 
Codice:2861      
 
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Media: 6.83
 
N. Volume:   46
Titolo:   L'inverno senza fine
Autore:   John CHRISTOPHER (ps. di Christopher Samuel YOUD)
   Traduzione: Lucia MORELLI
   Copertina: Rocco BORELLA
 
Data Pubbl.:   1 Ottobre 1964 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   The World in Winter, 1962
Note:  
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Romanzo  N. pagine:   224
 
 
  Ultima modifica scheda: Tony Lee 14/11/2015-17:48:26
 
   
 

 
 
Nel mondo della science fiction, la posizione di John Christopher è piuttosto particolare, sotto alcuni punti di vista. Difficilmente viene citato nella pattuglietta dei massimi autori britannici specializzati, ma basta fare il suo nome davanti a uno scrittore o a un lettore preparato (parlo in questo caso specifico di scrittori e di lettori inglesi) per dare automaticamente l'avvio a parole di elogio senza mezzi termini: la non inclusione di Christopher nella cerchia dei grandi specialisti è dovuta, sempre, al fatto che Christopher sta sul confine tra la science fiction e la narrativa del mainstream, alla cui cerchia viene talvolta ascritto. E' comunque notissimo, in tutto il mondo, il suo romanzo The death of grass, conosciuto anche sotto il titolo di una diversa edizione, No blade of grass. Non appena il cinema cominciò a vedere la sf non più in funzione di extraterrestri confezionati con trippa e polistirolo espanso e di lucertole trasformate in dinosauri grazie a trucchi fotografici, la Metro Goldwin Mayer si accaparrò i diritti per la riduzione cinematografica del romanzo sborsando la cifra di centomila dollari, un po' più di sessanta milioni di lire: il film, tuttavia, non è stato ancora realizzato. Il romanzo, d'altronde, si guadagnò una lunga citazione nel fondamentale saggio di Kingsley Amis, che (sebbene mi riferiscano che alcuni critici bahutu o perengani tentino ad arte di minimizzarlo per giustificare la propria trascorsa ignoranza) resta pur sempre l'esempio più serio e organico di esame globale della science fiction fino ad ora compiuto. Amis scrive a proposito di The death of grass una frase che vale la pena di ricordare, anche perchè è perfettamente attuale anche in rapporto a L'inverno senza fine: Viene così formulato, con apparente semplicità, un teorema sulla natura umana... il compromesso è tanto inevitabile quanto distruttivo, e io lo cito qui perchè assolve una delle possibilità della fantascienza come genere letterario: quella di essere un foro se non un podio da cui discutere problemi come quello di ciò che potrebbe succedere se la nostra società si sfasciasse. Ad ogni modo, non disponiamo di nessun altro sbocco... Ripeto di non ritenere che questi interessi siano l'indice d'uno stato di grazia morale o letteraria ma non li ritengo irriconciliabili né con l'una né con l'altra... Esatto per No blade of grass, questo giudizio lo è altrettanto per The world in winter. Quante volte, nella fantascienza, ci siamo trovati di fronte a una Terra soverchiata da una catastrofe naturale o addirittura, come in questo caso, coperta di ghiacci eterni? Il gimmick, la trovata, nella sua sensazionalità era stata scoperta ai tempi in cui Amazing camminava ancora con il girello e in Italia circolava, su un settimanale per ragazzi, la vicenda della lotta di Rebo e dei saturniani contro il nostro pianeta. Ma Christopher, a differenza di quasi tutti gli autori del passato e del presente che hanno prediletto questo genere «catastrofico» ignora gli aspetti clamorosi ed esteriori del fenomeno; ciò che gli interessa è l'influenza che le conseguenze di tale fenomeno hanno sulla società, e ancora più sugli individui: così, non indulge neppure ai brani cronistici e orripilanti frequenti nei romanzi di questo tipo, anche in quelli di un serio professionista come C. E. Maine, e non sbriglia la fantasia alla ricerca di sfondi agghiaccianti, come farebbe quel buon autore, in bilico tra fantascienza e fantasia nera, che è Jimmy Ballard. Nel suo Inverno senza fine, che potrebbe entrare senza alcuna fatica in una collana di varia narrativa per l'impegno dei ritratti psicologici (ammesso che debba essere un vanto per un'opera di fantascienza l'essere equiparabile a un romanzo del mainstream, il che tuttavia è discutibile) Christopher si preoccupa soprattutto dei problemi che l'abnorme situazione mondiale impone a un bizzarro quartetto cui sembra incombere, allusiva, l'ombra di Jules et Jim, il famoso e famigerato film di Godard. Lo strano rapporto a quattro fra Andrew, Carol, Madeleine e David, che può sembrare urtante a prima vista, specie alla mentalità latina, trova una giustificazione nelle pressioni anomale che l'ambiente rivoluzionario esercita su di loro; nasce una diversa morale, le lealtà patriottiche e razziali si sovvertono, si smussano, e se alla fine risorgono, risorgono per impulsi negativi, la rinascita d'un indomabile orgoglio britannico e per un amor proprio malinteso. Con scarsa pietà, Christopher affronta il problema degli errori del colonialismo bianco, e lungo la strada critica l'insorgere d'un razzismo alla rovescia, cui concede tuttavia la giustificazione di una rappresaglia, sia pure non meritevole di approvazione. Andrew, il protagonista del romanzo, è un debole, un irresoluto, incapace di conservarsi dapprima l'affetto della moglie Carol, e poi incapace di trattenere presso di sé Madeleine, in cui pure ha riconosciuto l'unico autentico affetto della sua esistenza; incapace di bloccare la frana di indifferenza che gli alienerà i figli, incapace di ribellarsi alla personalità di David che prima gli ha tolto Carol e poi gli ha ripreso Madeleine con una astuzia forse involontaria, facendo appello all'abnegazione di lei: e sarà soltanto un avvenimento inatteso che provocherà, alla fine, un assestamento definitivo, anche se inquinato da un tradimento. L'unico sentimento sicuro che Andrew è riuscito a guadagnarsi, quasi senza merito, è la generosa amicizia di un negro nigeriano, Abonitu, che ricambia un antico e trascurabile favore togliendolo dalla sua abiezione di emigrato povero, offrendogli lavoro, agi e rispettabilità nella giovane società africana di Lagos; e che più tardi si batterà contro un altro negro, il generale Mutalli, per salvargli la vita. Ma, puntualmente, Andrew rinnegherà questa amicizia, ricompensandola con un tradimento tutt'altro che giustificato da una reviviscenza di patriottismo e di solidarietà «bianca», cui Andrew fa appello per nascondere il più egoistico sentimento che l'ha spinto al sabotaggio. Ma, oltre al fiducioso, entusiasta e in fondo romantico Abonitu, in un certo senso simbolo della migliore Africa nuova, e la figura appena tratteggiata di Maria Arunawa, in un certo senso simbolo della antica eroica rassegnazione della sua razza, i personaggi di quel mondo sconvolto dalla nuova era glaciale sono incerti, deboli, quasi contagiati dal gelo che ha annientato la civiltà bianca. Così Carol, dopo avere abbandonato Andrew per David, una volta trasferitasi in Nigeria, al sicuro dagli orrori dell'Inghilterra invasa dal gelo, ma esposta al pericolo della miseria, si affretta a buttarsi fra le braccia d'un influente personaggio locale; così David, affascinante ed amorale ma ancora capace di qualche altruismo, alla fine penserà soltanto ad approfittare della situazione per gettare le basi di un futuro impero personale; Madeleine, che sembra trovare volontà e decisione soltanto nelle situazioni più avvilenti, rimarrà incerta fino all'ultimo tra Andrew e David; e il comandante Torbock, che rischia la vita per portare a Madeleine l'ultimo messaggio di David, deciderà di trasferirsi nel Sud Africa, spinto dalla sua lealtà verso la razza bianca, pur ammettendo le sue simpatie per la nuova Africa nera; dove per lo meno il razzismo alla rovescia non assume mai, nelle pagine di questo romanzo, la feroce, incongrua patina di nazismo che ha assunto invece, nella realtà, il razzismo dei bianchi sudafricani. Eppure, nonostante tutto, l' ultimo colloquio tra Andrew e Abonitu sembra promettere una tregua duratura, il ristabilimento di un rapporto normale tra i popoli, al di là di ogni probabile difficoltà: le giovani nazioni negre accetteranno la lezione degli antichi errori dei bianchi e cercheranno di evitarli; i bianchi si sforzeranno di fare risorgere una civiltà nei deserti di ghiacdo, dove l'istinto dl conservazione è divenuto l'unica legge valida. Anche quei personaggi incerti e deboli devono rendersi conto, al di sopra delle polemiche e dei risentimenti, che non esisterebbe un avvenire per la Terra se non attraverso il rispetto reciproco e la collaborazione, sia pure cauta e sospettosa; e, ancora una volta, la violenza irragionevole trova la sua condanna, come è ormai costume — e non da oggi — della science fiction più seria e qualificata.