Lem ha dato vita e verità ai viaggiatori dello spazio-tempo, ha favoleggiato con impeccabile ironia delle prossime stirpi di robot, ha reso palpabile l'angoscia della conoscenza, la solitudine degli sperimentatori e dei chiaroveggenti. In Ritorno all'universo questo è rappresentato con grande potenza immaginativa, con amarezza, finezza e livello stilistico eccezionali. Che rimane al reduce della costellazione di Fomalhaut - 40 anni d'età nello spazio, 157 per il tempo terrestre - che rimane a questa sorta di brontosauro vivente, se non contemplare scritte luminose incomprensibili, o la folla dei suoi simili, infinitamente più fragli di lui, variopinti, sorridenti zingari di città dove regna l'illusione e l'illusionismo al più alto grado di perfezione? Estraneo gli fu l'universo estranea è ora la Terra. Chi lo ricorda, il pioniere? "Erano loro che mi avevano sepolto nelle stelle, non ero io che avevo sepolto loro sulla Terra." Si torna dalle stelle, dopo aver sperimentato il meglio e il peggio di sè, per trovare il lattemiele senza domani di un'umanità senza curiosità o gravi dolori, che non sarà mai più nè aggressiva nè memore: per lottare contro i ricordi degli immensi labirinti di altri mondi, prima di constatare che tutto quel lattemiele non sarà eterno. Così in Ritorno dall'universo si dimostra la verità dell'ipotesi che non il romanzo è morto, ma i temi di cui si usa e abusa da due secoli; e che nella preziosa congerie dei plot fantascientifici va parte della vitalità tanto cercata.
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