04 Novembre 2023, 15:29:48Commento scritto da bibliotecario
Voto: 4.00
Ce l'ho fatta. Ho concluso la lettura della trilogia Orange Country. Questa è l'unica cosa positiva che mi sento di esprimere sulla fatica di Robinson.
A tutti coloro che si ostinano a chiedere ai quattro venti la pubblicazione nella sua interezza di ogni ciclo iniziato, renderei obbligatoria la lettura del Ciclo di Orange Country.
Io me la sono imposta. Mai più chiederò ad un curatore o a un editore di proseguire un ciclo interrotto. Se non lo completano avranno i loro buoni motivi, adesso l'ho compreso. Non vogliono indispettire i propri lettori ma risparmiarli la lettura di vere e proprie insulsaggini per non dire di peggio.
Robinson dopo aver collocato la sua amata Orange Country nel mezzo di uno scenario post apocalittico (La costa dei barbari unico romanzo che valga la pena leggere) e in uno distopico ( La costa della palme) conclude il suo trittico collocando La costa del pacifico in una Utopia che potremmo definire paradisiaca.
Scritto nel 1990 e temporalmente collocato ai nostri giorni, La costa del pacifico è ambientato in una California futura che è un crogiuolo di socialismo, capitalismo, e democrazia diretta in cui le istanze e preoccupazioni ecologiche sono tenute nella massima considerazione. Dove il reddito personale e le dimensioni delle imprese hanno limiti massimi rigorosi, dove tutti sono tenuti a dedicare alcune ore di lavoro a progetti comunitari, dove la maggior parte delle persone vive come parte di cooperative comunali, ma allo stesso tempo sono libere di scegliere il proprio lavoro, vivere dove vogliono, avere voce in capitolo negli affari della comunità. Un paradiso utopico di cui l'autore fa solo dei vaghissimi accenni su come vi si sia giunti dal punto di partenza di un Mondo condannato all'apocalisse come il nostro, in un Paese come gli Stati Uniti del 1990 immerso in più di una crisi, non ultima quella dell'AIDS, a cui Robinson si riferisce in toni più foschi di quelli poi verificatesi nella realtà.
Questo lo scenario su cui si innesta una trama insulsa, lunga nello svolgimento e per di più con un finale affrettato che per uno scrittore prolisso come Robinson è davvero una beffa per il lettore.
Quattrocento pagine dove a prima vista, non succede davvero molto (questo è essenzialmente vero per tutti i libri di Robinson), si possono condensare gli eventi principali dell'intero libro in due frasi e probabilmente con ciò farlo abbastanza bene. Un triangolo amoroso tra i personaggi principali e una disputa sulla destinazione d'uso di una collina, su per giù tra gli stessi personaggi.
Tuttavia questo è il punto; il libro parla più delle persone che della trama che viene raccontata. L'attenzione è concentrata su come e cosa pensano i personaggi, cosa determina le loro azioni, come vengono influenzati dal loro mondo, le cose stupide o giuste e più generose che fanno, le motivazioni che stanno dietro a ciò che fanno o non fanno. La storia parla dei personaggi, di quanto siano veramente ordinari e di come le decisioni che prendono, anziché essere sorprendenti o impressionanti, siano comuni e dirette, lo stesso tipo di decisioni che prenderebbe chiunque di noi. Questo mi ha permesso di identificarmi con loro, specialmente con Kevin il personaggio principale. Amo i romanzi con questo approccio alla storia, che danno importanza più ai personaggi che agli avvenimenti ma qui si è veramente esagerato.
A rendere le cose ancor peggiori, la trama principale è inframmezzata da alcuni brani raccontati da Tom, un personaggio la cui identità viene rivelata solo alla fine, che sono ambientati oltre mezzo secolo prima della storia principale.
Il personaggio ricorrente di Tom, presente in tutti e tre i romanzi del Ciclo, rappresenta qui, come negli altre due storie, per molti versi, la voce di Kim Stanley Robinson stesso, il suo sentire e la sua presa di posizione rispetto ai problemi che affliggevano e purtroppo per molti versi continuano ad affliggere il suo Paese.
In conclusione una trilogia cominciata con le migliori aspettative e conclusa nel peggior dei modi possibili.
 
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