Se i libri di fantascienza di Leinster pubblicati da Urania possono dividersi (quasi in egual misura) in buoni e meno buoni, questo in qualche modo sembra sfuggire ad una collocazione precisa in una delle due categorie. Se infatti da un lato la scelta del registro satirico, con l’acuta stigmatizzazione della società tele-dipendente di metà degli anni cinquanta del secolo scorso (purtroppo ancor oggi in ottima salute), lo collocherebbe di diritto tra quelli piacevoli e ben leggibili, dall’altro alcune ingenuità e la scelta di dilungarsi inutilmente sulle esplorazioni planetarie della prima astronave interstellare umana (che nulla aggiungono alla trama) lo rendono in molti passaggi noioso e monotono. Non si percepisce, in buona sostanza, alcun tema dominante nel romanzo, che resta fino alla fine sospeso tra l’avventura fine a se stessa e la critica di costume, né, proprio per la scelta del registro letterario, quante e quali delle parti narrativamente più deboli (ed irritanti) siano più o meno intese. Non che – ovviamente – quest’ultimo fattore abbia poi alcuna rilevanza nell’apprezzamento della lettura sic et simpliciter, per la quale poca importanza ha conoscere la ratio dell’improbabile (ma divertente) composizione dell’equipaggio della nave spaziale, dell’esasperazione monodimensionale (ma forse funzionale) dei personaggi, della debolezza (forse necessaria) del comparto “scientifico” … Insomma, difficile dare una risposta secca alla domanda se valga o meno la pena leggere questo racconto. Forse no. |