In questa seconda parte del racconto di Bunch, il mondo di Moderan arriva alla sua spettacolare, scontatissima conclusione, arricchendosi di una serie di immagini e pensieri assolutamente indimenticabili come la bambina che porta la bambola-bomba al padre per ucciderlo, il profeta che si fa "ricrescere le mani" per rinforzare con un miracolo le sue parole, i fiori e gli uccelli meccanici (supremo sfregio alla bellezza del ciclo morte/rinascita della natura) che diventano una sorta di rito vuoto di cui nessuno può più comprendere il senso o come i turbamenti ed i conflitti interiori del protagonista nei confronti di concetti dimenticati come l'amore, il Natale e la compassione. La forza insita nella crudele immagine di un mondo basato sull'odio e sulla guerra, nato come naturale evoluzione della civiltà umana, colpisce e sconcerta con forza ancora maggiore rispetto alla prima parte: la distopia immaginata da Bunch finisce per apparire un incubo senza fine in cui gli stessi protagonisti, svuotati da qualsiasi umanità e da qualsiasi scopo, si riducono a semplici automi programmati per odiare e comportarsi in modo crudele per combattere la loro vera nemica, la noia. E l'amara satira di Bunch non può che chiudersi in un unico modo: il suo mondo-incubo è destinato ad implodere sotto la spinta dei suoi stessi errori ed i suoi fautori sono destinati ad una sconfitta di cui non riescono quasi a rendersi conto tanto sono ormai disumanizzati. Confermata l'ottima valutazione della prima parte. |