E' sempre difficile commentare un'opera di Dick, perché è un autore che esce da tutti gli schemi e non può essere paragonato ad alcuno. Tutti i suoi libri, ed in particolare gli innumerevoli romanzi post-apocalittici, di cui questo rappresenta tale tema per antonomasia già nel titolo, sono particolarmente pessimistici e non lascIano intravvedere un qualsiasi futuro di speranza per l'umanità; anche gli spazi cosiddetti ironici, sono comunque velati da una certa tristezza, oltre che dalla visione depressa e allucinata della vita dell'uomo Philip Dick. Ma lui si conferma sempre un genio anche quando, come in questo caso, racconta storie apparentemente banali, confinate a spazi ristretti, ad un microcosmo di umanità. Così troviamo lampi di genialità come un astronauta inizialmente destinato a Marte e che rimane condannato a rimanere su un'orbita terrestre, improvvisandosi dj per il residuo di umanità in ascolto; e poi scopriamo un disabile, anzi un focomelico per colpa del talidomide, che dimostra incredibili talenti che mette in funzione rivelandosi sì "diverso", ma con qualcosa in più (anche in negativo) sugli uomini cosiddetti normali; inoltre troviamo un negro, che come tale è confinato a ruoli da "inferiore" (il libro è degli anni 60, quando il razzismo in USA era ancora molto forte, e del resto non è ancora scomparso), che in realtà trova un suo posto di riscatto, seppure minimale, in quel residuo di società. Potrei continuare così con altri esempi, ma ognuno può individuare il colpo di genio preferito. A giuste dosi è obbligatorio pescare a caso uno scritto di questo autore, evitando però di farsi contaminare. |