Difficile, volendo seguire il paradosso di De Quincey circa il crimine come una delle arti belle, trovare un capolavoro di rapina come questo. Se, nell'anno di grazia 1855, l'Impero Britannico manda al suo esercito impegnato nella guerra di Crimea lingotti d'oro in casseforti a prova di tutto (sigillate, perfino, e con quattro chiavi diverse, quattro diversi custodi) sul guardatissimo espresso Londra-Parigi, e se le casseforti arrivano con i sigilli intatti ma dentro, al posto dell'oro, pallini da caccia, quali saranno le reazioni? Indignazione, come sempre; segreta ammirazione (e chi non ammira le imprese impossibili?); in più, in questo caso, scandalo e sgomento eccezionali. E' che è stata colpita nelle sue più care credenze, la grande nazione sulla cresta dell'onda: così sicura che il progresso industriale e la forza delle istituzioni non possano che apportare tranquillità e sicurezza per tutti. Questo singolare e magistrale romanzo-suspense conferma le grandi qualità di narratore dell'autore di "Andromeda": acutissimo, cattivo, brillante, con un'invidiabile concisione e limpidezza di scrittura, implacabile nell'analisi - che a volte tocca notevoli vertici di ironia, a volte attira irresistibilmente la simpatia del lettore sulle complessità di un mondo che fu - di quel che è il meccanismo della Perfetta Rapina nel regno di Vittoria; e che racconta quali grandi manie, quali miti orgogliosi vengano sfruttati e colpiti dal gentleman (vero o falso?) ideatore del colpo e dai suoi affascinati complici scelti nei bassifondi di Londra. Se quel che viene definito progresso conduce a un generale perfezionamento, a magnifiche sorti ad ogni livello, cosa sarà più conturbante e più inevitabile dell’apparizione del Ribelle per lucro?
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