Dal momento in cui lascia la casa paterna, nel Sud degli Stati Uniti di metà ottocento, la vita del giovane protagonista di questo romanzo diventa una lenta cavalcata verso il West. Dapprima solo, poi al seguito di "eserciti" improvvisati e straccioni che si lasciano dietro una lunga, tenace striscia di sangue. Gli uomini che incontra, e che segnano fatalmente le tappe della sua iniziazione, non hanno passato: di uno conosceremo il nome per intero soltanto al momento della morte, di un altro sappiamo unicamente che è il "giudice". Figure inesorabili che sembrano uscite dalla nebbia di un tempo eterno, si muovono lungo i sentieri del mito americano sconvolgendone connotati e confini. La natura, il paesaggio dei deserti, delle mese, dei passi montani, sono i testimoni ieratici e imparziali di scelleratezze che, con il procedere del racconto, acquistano la stessa familiarità e naturalezza di una tempesta, o di un tramonto. Turbolenza e successiva immobilità scandiscono le tappe di questo procedere regolato da leggi elementari e arcane. E sopra le cavalcate sanguinose e grottesche dei pellerossa, lungo le strade di fango dei villaggi miserabili, attraverso le distese desertiche disseminate dagli avanzi di un monotono festino di morte, troneggia la figura glabra e massiccia del giudice, sardonico e sapiente, dolce e crudele dispensatore di filosofia e di morte. Seguire i suoi insegnamenti, ubbidire alla sua legge, o ribellarsi, non è mai, per il ragazzo, questione di scelta: per il maestro, dare la morte significa affermare la propria invulnerabilità, sfidarla è lo scopo stesso della vita. Il romanzo di McCarthy si basa su personaggi vissuti e fatti accaduti: trasfigurarli, trasformarli in una fantasmagoria dominata dal caso e dal destino, raccontare la vita come una lunga cavalcata di sagome indefinite che si stagliano nere contro un tramonto di sangue, è il compito dello scrittore.
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