"Per alcuni giorni, qualcuno aveva suonato ripetutamente alla nostra porta, senza mai presentarsi, e da un certo tempo tutta la casa dove abitavamo era stata avviluppata in una leggera nebbia di sortilegio; perciò eravamo molto tesi e attenti..." Annunciato da piccoli segni inquietanti e da un misterioso visitatore, il viaggio iniziatico che riempie di sé questo libro di Ceronetti assume subito la cadenza di una fiaba: una partenza improvvisa, un gigante che taglia le case come se fossero di burro, una mongolfiera che erompe da un letto sfatto, un cane parlante...E' un viaggio intrapreso alla ricerca di un segno che dia un senso e una meta all'avventura: forse l'aquilegia, il raro fiore alpino che può attecchire solo nell'innocenza e nella quiete. Tessuta dei fili splendenti e perentori di cui sono intrecciati i sogni, questa storia che ha per padrino figurativo Hieronymus Bosch è molte cose allo stesso tempo: una affabulazione che si alimenta della efficacia conoscitiva dell'invenzione fantastica; un catalogo di metafore, allusioni, simboli da scrutare attentamente per capire se annunciano sciagure o prodigi; una satira delle malefatte della tecnologia, profetica anticipazione di molte delle tragedie dell'ambiente che oggi stiamo vivendo; un colloquio con il male e con la morte; una serie di parabole irridenti al modo dell'amato Swift; un monologo sapienziale in cui l'autore può riversare indignazione e tenerezza, nostalgia e disperazione. Un testo che non assomiglia a nessun altro, e che rappresenta un unicum anche nell'opera di Ceronetti. Apparsa per la prima volta nel 1973, quindi in tempi assai poco propizi a questo genere di letteratura, "Aquilegia" ritorna filtrata da una puntigliosa riscrittura dell'autore che, nell'intervista in appendice al volume, ricostruisce la genesi e il senso della "favola sommersa": "Non è un capolavoro come "Gulliver", in compenso fa ridere di più.
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