Theodore Sturgeon ha sempre subito una sorte bizzarra, per quanto concerne le sue opere tradotte in Italia: se si escludono i tre soli romanzi lunghi ed una splendida antologia (Profumo d’Infinito, SFBC n. 6), i suoi racconti sono sempre apparsi a pizzichi, quasi centellinati da tutte le pubblicazioni specializzate. Forse, come per Fritz Leiber, il guaio di Sturgeon riposa nel suo rifiuto di una precisa specializzazione, e nella sua preferenza per decantare nel tempo le proprie ispirazioni. I romanzi brevi ed i racconti di questa antologia sono stati scritti fra il 1946 e il 1956, e forniscono uno spaccato ideale delle tendenze e dei gusti di questo autore; dai temi della fantascienza classica a quelli dell’orrore, dal fantasy al puro gusto per l’insolito (spesso quotidiano), Sturgeon riesce a dilatare la sua l’ente poetica e sovente crudele su situazioni svariate in moltissimi campi. Non gli è tuttavia difficile, neppure con una così vasta scelta di temi, riconfermarsi ogni volta grande scrittore e incline ad un approfondimento esperto nell’intera gamma dei valori umani. Con stile a volte allusivo ma sempre penetrante, Sturgeon scava a fondo nell’animo umano per estrarne la materia primitiva di ogni sua storia, impegnandosi in una ricerca di soluzioni o suggerimenti che possano servire a chiunque. Un’antologia, quindi, che offre un’occasione unica per la ricomparsa di uno Sturgeon ormai raro e inedito con alcune delle sue opere più affascinanti.
|