Vero. Falso. Simulato. Sono queste le categorie che sfidano oggi la nostra capacità di osservare e capire la realtà. Ma la fantascienza l’aveva già capito, con gli autori, noti e meno noti, che negli anni ’50 e ’60 hanno insinuato i semi di una coscienza inquieta nella letteratura di genere. Tra essi, l’americano Daniel F. Galouye, con questo singolare romanzo. Fuller ha messo a punto un simulatore in grado di creare un mondo virtuale popolato di personalità fittizie, programmato per riprodurre specifici aspetti della società e sperimentare nuovi prodotti da lanciare sul mercato. Fuller muore in un misterioso incidente e Douglas Hall assume la direzione del progetto. Ma c’è un problema: uomini e oggetti cominciano a sparire in misteriose circostanze e, stranamente, Hall sembra il solo a rendersene conto. Si proietta quindi nel mondo del Simulacron per indagare, e qui incontra Morton, l’unico abitante del mondo virtuale che è consapevole di vivere in una creazione artificiale. Morton sta cercando di fuggire appropriandosi del corpo di un tecnico, ma viene scoperto e riprogrammato… non prima però di rivelare a Hall che anche il suo mondo, quello apparentemente “vero”, non è altro che una simulazione. Se ogni certezza svanisce in una vertigine di mondi fittizi, dove cercare a questo punto la realtà?
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