La vita scandita dalla pigra dolcezza della provincia, l’unica che aiuta ancora ad apprezzare i piaceri della tavola, dell’amore e dello stare insieme, è raccontata in questo romanzo da uno scrittore che conosce bene anche il piacere di narrare, costruire una storia e dar fiato a personaggi che coinvolgono con la loro serenità. Ecco: questo è un romanzo sereno anche nei suoi nodi drammatici, perché nella semplicità e nell’allegria, autore, personaggi e lettore sono in grado di ritrovarsi. Ciascuno dei personaggi di Pederiali ha una sua concretezza popolare e robusta e nello stesso tempo un senso di evanescenza che lo rende affascinante e imprevedibile: dal Marinaio, il protagonista, che ha girato il mondo tanto da perdere la cognizione del tempo, a Pellegrina Pibigas, una figura di donna dolcissima e carnale, fino ai personaggi minori, Francesco Peste, l’Anzlìn o la Donna dei Segni. L’abilità dell’autore consiste nel mescolare e fondere in un unico impasto l’invenzione romanzesca, la cronaca, la fantasia. E la Storia: anche in questo libro, ambientato nel 1950, dove la storia sembra essersi fermata grazie a un sortilegio. A guardar bene si comprende che a Pederiali preme evocare la tradizione, l’humus più nascosto di certi esemplari umani, estrarre dal fondo della memoria figure di uomini che esercitano la loro vita in una continua altalena tra ciò che è sognato e ciò che è materiale. Questo meccanismo narrativo permette di penetrare nell’anima più antica della nostra gente dove coesistono appetiti del corpo e aneliti di sogno, desiderio di rifarsi l’anima bambina e il bisogno di sentirsi circondato da presenze magiche e indecifrabili. Così non c’è da stupirsi se uomini, donne, animali e paesaggio recitino coralmente, in un continuo scambio delle parti, in un felice romanzo gremito di sorprese al cui fondo riesce sempre a brillare la luce dell’ottimismo e del divertimento intelligente.
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