Al momento della stesura della Prima inchiesta di Maigret, nel 1948, la popolarità del commissario creato da Simenon quasi vent’anni prima è immensa. Il romanziere è costretto a difendersi dal suo editore, che lo strema chiedendogli di produrre a ritmi disumani: «Non scriverò dei Maigret per far soldi, subito e a qualunque costo – gli scrive in una lettera risentita – Non fabbrico mica sapone o dentifricio!». Del protagonista dei suoi polizieschi il pubblico vorrebbe sapere tutto: ormai in grande dimestichezza con la moglie Louise e con i suoi collaboratori, si interroga sui suoi trascorsi con appassionata curiosità. Proprio a quella curiosità La prima inchiesta di Maigret viene incontro con molto garbo, mettendo in scena un Maigret esordiente, alle prese, nell’aprile 1913, con i loschi segreti di una famiglia dell’alta borghesia, sullo sfondo di una Montmartre ben datata, tra carrozze e maggiordomi, signori in cilindro e sovrani stranieri in visita. Il giovane poliziotto vorrebbe condurre con intransigenza la sua inchiesta nella villa lussuosa dove un povero flautista ha visto commettere un omicidio: i suoi superiori però gli fanno capire che ci sono ambienti in cui è d’obbligo andare con i piedi di piombo, e lui assimila melanconicamente la lezione, adattandosi all’esistente. Certo, con il passar degli anni, la pietra miliare di questa prima inchiesta creerà qualche problema di verosimiglianza: il Maigret ancora in azione nella seconda metà degli anni sessanta, per esempio, dovrebbe aver superato di un bel po’ l’età della pensione. I lettori però non se ne preoccupano, così come non si scandalizzano se il traduttore di Maigret al Picratt’s trasforma in anacronistici collant le calze di seta di una spogliarellista del 1951. La magia di Simenon fa dimenticare questo e altro. (da L'Indice, aprile 2002)
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