Un uomo del ventesimo secolo si trasferisce con la sua anima, con le cognizioni, l'esperienza che in questa vita e in questo tempo gli erano proprie, nel corpo di un giovane patrizio romano del primo secolo della nostra era. Incarnatosi in Valerius Monellus, percorre l'intero arco di una vita, per riprendere infine il corpo precedente dal quale l'anima era stata lontana non più di venti minuti: tanto poco, nell'eternità delle anime, è necessario perché una cosi ardua esperienza umana si compia. Un nostro contemporaneo, dunque, proiettato nella Roma dei Cesari, lungo un arco di tempo che, dagli ultimi anni di Augusto, attraverso Tiberio e Caligola, abbraccia quasi tutto il regno di Claudio. Un contemporaneo che vede crearsi innanzi ai suoi occhi eventi e personaggi già conosciuti attraverso il filtro raggelante della storia, e che quegli eventi vive e osserva con la divertita curiosità di chi scopre quanti falsi la storia abbia perpetrato, con il senso di amara impotenza di chi nulla può mutare in quegli eventi, con il distacco di chi già vede, dietro ogni immagine, dietro ogni essere creduto vivo e amato, la realtà della morte. Ma, più di ogni altra cosa, un contemporaneo che nella società romana ritrova, e ricerca, la società contemporanea. Ed ecco che i patrizi e la plebe di Roma, i letterati, gli uomini politici, i tiranni e le vittime, i conformisti e i ribelli, riflettono figure analoghe, o identiche, del nostro tempo. E l'umorismo, l'ironica dissacrazione si caricano di un significato che getta sulle cose una luce nuova e aspra. Poiché quel passato immobile, e per questo appunto rassicurante, si riveste della mobile incertezza del presente, e a tratti, di un presagito futuro. E l'Avventura nel primo secolo, che, ripresentata ai lettori a una quindicina d'anni dalla prima pubblicazione, nulla ha perduto della sua attualità, diviene un'avventura nel ventesimo secolo, l'ironica, disincantata autobiografia di un uomo del nostro tempo, che in questo tempo si sente estraneo, impotente a influire sugli eventi, non meno che nella Roma dei Cesari; e che da questa sua avventura riporta una sola, desolata certezza: diciannove secoli fa, come oggi, l'uomo era convinto di essere all'apice del progresso; e oggi, come diciannove secoli fa, tale convinzione non può essere che inganno.
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