Il grande filosofo greco Epicuro era solito affermare che "quando ci siamo noi non c'è la morte, e quando c'è la morte non ci siamo noi". Questa ossevazione, pur ineccepibile, sembra però non tenere nel debito conto la beffarda imprevidibiltà delle vicende umane, come ben sa Publio Aurelio Stazio, l'ormai mitico detective in toga e laticlivio creato da Danila Comastri Montanari. Siamo nell'anno 42 dopo Cristo, l'impero romano è al massimo del suo splendore e sul trono dei Cesari siede Claudio con la giovane moglie Messalina. Publio Aurelio, ricco e gaudente senatore con il "vizio" delle indagini criminali, si reca in visita dalla cortigiana Corinna e la trova morta, con un pugnale piantato nel petto. Aiutato come sempre da Castore - il suo irresistibile segretario alessandrino - Aurelio comincia a indagare sul delitto, sforzandosi di conoscre più a fondo i principali sospetti: Clelia, la sorella cristiana di Corinna; il falegname Ennio; il rigido senatore Marco Furio Rufo e la sua famiglia; la schiavetta Pseca; la bellissima e spregiudicata patrizia Lollia Antonina... Ma prima di avere la possibilità di condurre in porto l'inchiesta, Publio Aurelio viene accusato della morte del genero di Rufo e per protestare la sua innocenza dichiara che si reciderà pubblicamente le vene - à la Seneca - durante un banchetto. La sera della festa, con i sospetti radunati nel triclino d'onore, Aurelio, strepitoso Nero Wolfe ante litteram, si vedrà così costretto a giocare il tutto per tutto - a partire dalla sua stessa vita - per scoprire il vero assassino...
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