Misery è il romanzo della svolta per Stephen King.
Prima della sua pubblicazione, nel 1987, King era “semplicemente” considerato il Re del Brivido, il grande rimasticatore dei miti pop e delle icone horror. Dopo Misery, il mondo si accorse che King era ben altro e molto di più: uno dei più grandi narratori americani viventi. Perché Misery, romanzo claustrofobico giocato sul rapporto morboso prigioniero-vittima, è forse il thriller più spaventoso che sia mai stato scritto, e riesce a esserlo senza effetti speciali, senza sovrannaturale, senza nemmeno troppo sangue e violenza.
Solo con la forza evocativa delle parole e con lo sguardo di uno scrittore capace di scavare nelle pieghe delle proprie paure più segrete. Dopo un grave incidente d'auto il romanziere Paul Sheldon (trasparente alter ego dello stesso King) rinviene in una casa isolata sulle montagne del Colorado.
Il dolore per le ferite e le fratture riportate è terribile e quel che è peggio la salvatrice, Annie Wilkes, non ha alcuna intenzione di portarlo in un ospedale. Annie è infatti la sua “più fervente ammiratrice” e vuole che Paul scriva per lei, solo per lei, riportando in vita l’eroina che ha soppresso nell’ultimo romanzo: Misery. E per far questo non esita a torturare Paul, a drogarlo, a rinchiuderlo e minacciarlo di morte. Stordito dai farmaci e terribilmente sofferente, Paul non ha altra scelta che cominciare a battere i tasti di una vecchia macchina da scrivere, cercando un modo per sopravvivere e sfuggire alla sua carceriera.
Scritto da un King in stato di grazia, forse mai più così efficace, Misery è diventato una pellicola di enorme successo con Katy Bates e James Caan.