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Galassia - La Tribuna - Scritta Galassia nel riquadro colorato

 
 
Codice:2973      
 
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Media: 8.00
 
N. Volume:   158
Titolo:   Una coppa piena di stelle
Autore:   Robert F. YOUNG (ps. di Robert Franklyn YOUNG)
   Traduzione: Roberta RAMBELLI (ps. di Jole RAMBELLI)
   Copertina: Antonio ATZA
 
Data Pubbl.:   15 Gennaio 1972 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   A Glass of Stars, 1968
Note:   La prima parte è stata pubblicata su Galassia 151
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   176
 
 
  Ultima modifica scheda: zecca_2000 28/01/2019-15:43:07
 
   
 

 
 
Robert F. Young si ripresenta con un'altra selezione di racconti, caratterizzati dalla stessa lieve ansia di poesia e dalla stessa malinconica grazia che caratterizzavano Trenta giorni aveva settembre. Ed è presente la stessa sfumata, remota ironia. Ma questa volta, quasi sempre, è la malinconia ad avere la meglio. La malinconia, ed una tensione particolare, una nostalgia per la fiaba e la leggenda. Questo non impedisce ai racconti di rappresentare esempi corretti e del tutto ortodossi della science-fiction. Nessuno di loro è improntato ad una fantasia del tutto libera, avulsa dalle regole del gioco fantascientifico. Le componenti che li rendono affini alle fiabe e alla leggenda non sono metodologiche, sono sentimentali. Non è il congegno che sa di fiaba e di leggenda: è l'atmosfera. E questa atmosfera sopraffà a volte la delicata, sotterranea ironia e porta allo scoperto più forti impulsi drammatici. Basta considerare L'Albero, una sinfonia dolorosa lanciata in un inarrestabile crescendo verso una conclusione drammatica: drammatica, non tragica, perché Young rifiuta l'essenza della tragedia, e così scopre che alla fine il delitto consumato da Tom Strong era un pietoso gesto di eutanasia; basta considerare I miei occhi hanno visto la gloria, un tema che sarebbe piaciuto pazzamente a Bob Sheckley, il quale l'avrebbe trattato con aperto sarcasmo, mentre Young, in perfetto equilibrio tra ironia e fede, lo risolve con puntiglioso scrupolo, dilatandolo a dimensioni di pura leggenda. Basta pensare a La stella del desiderio, in cui la violenta polemica contro la dittatura militarista sfuma nello sfondo, per lasciare in primo piano gli elementi intensamente lirici. Più apertamente drammatica la conclusione de I passi dei grandi, ma temperata dalla vena di umile, semplice poesia intessuta nelle brevi pagine del racconto. Più apertamente ottimista, la sua controparte, Quel che successe su Venere, un po' trasparente e voluta nella trama, ma aggraziata da particolari così leggiadri e spiritosi (l'intervento dei venusiani) da acquistare una sua originalità inconfondibile. Forse la ricerca della poesia, in Young, può essere accusata di qualche forzatura. Forse è facile imporre al lettore la certezza di stare leggendo un'opera di poesia quando gli si rovesciano addosso torrenti di fiori e di laghi azzurri e di alberi verdi e di dolci colline e di uccellini canori color arcobaleno, e quando gli si presentano contadini e baristi che parlano con estrema proprietà di linguaggio, sciorinando eleganti metafore e teorie elaborate. Forse Young ha scelto una scorciatoia, per "fare della poesia". È difficile stabilirlo. Comunque, si sente fremere, in ogni sua parola, una sincerità, un abbandono autentici. E, a questo punto, si è irrimediabilmente conquistati.