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Omnibus Gialli - Mondadori - Omnibus gialli seconda serie (telati)

 
 
Codice:29636      
 
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N. Volume:   20
Titolo:   I figli di mammasantissima
Autore:   Autori VARI
   A cura di: Oreste DEL BUONO
   Traduzione: Autori VARI
   Copertina: Ferenc PINTÉR
 
Data Pubbl.:   Ottobre 1971 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:  
Note:  
 
Genere:   Libri->Gialli
 
Categoria:   NON FANTASTICO Rilegatura:   Cartonato
Tipologia:   Principali Dimensioni:   140 x 210
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   570
 
 
  Ultima modifica scheda: Fantobelix 19/03/2015-00:50:31
 
   
 

 
 
Gli assassini italiani
La cronaca vera e nera, nerissima, contiene la descrizione di un orrendo delitto compiuto da italiani nel lontano 1875 a Denver e delle relative indagini compiute dal generale D. J. Cook, capo della Rocky Mountain Association, che si racconta come Cesare in terza persona. Di mafia non si parlava ancora negli Stati Uniti a quel tempo, e i criminali, emigrati dall'Italia insieme con tanti onesti lavoratori, non avevano ancora osato attaccare gli altri gruppi etnici, si appagavano di esercitare il loro tenebroso potere sui propri connazionali, avviliti e oppressi dall'ignoranza e dall'omertà.

La strage di New Orleans
Se al tempo dei fatti di Denver non era ancora stata pronunciata la fatidica parola mafia, la parola cominciò a esser più che pronunciata negli Stati Uniti appena qualche anno dopo, nel 1891, al tempo dei fatti di New Orleans. Accadde a New Orleans, appunto, che la malavita italoamericana passasse il segno, ovvero osasse colpire qualcuno che non era italiano, anzi che era il capo della polizia locale. La prima vittima americana della mafia Dave Hennessey, figura abbastanza ambigua come spesso i capi della polizia americana, che si era messo in mezzo a due fazioni di siciliani che si disputavano il controllo del mercato della frutta, riuscì a sopravvivere sino a lanciare l'accusa e l'anatema « Sono stati loro, i dagoes ». Poi morì, e allora la folla di New Orleans insorse, e, con la complicità e la protezione della polizia, massacrò gli italiani sospettati a torto o a ragione. Di questa vicenda che provocò l'interruzione delle relazioni diplomatiche tra l'Italia e gli Stati Uniti e si concluse vergognosamente con una indennità pagata dagli Stati Uniti all'Italia per le vittime, orribile vicenda che è all'inizio di quanto di vero e di falso è stato detto e scritto sulla mafia,

Petrosino: da spazzino a poliziotto
Presentiamo la prima opera di fantasia di questa raccolta. Protagonista non è, però, un malvivente italo americano. Protagonista è eccezionalmente un poliziotto italo americano che contro i malviventi italo americani insorge in nome della patria acquisita e di quella perduta. Giuseppe Pe-trosino, anche se appare piuttosto improbabile nel nostro delirante racconto, visse veramente. Nato nel 1860 a Padula, piccolo paese del napoletano, seguì la famiglia nel 1871 negli Stati Uniti. Dopo aver fatti vari, umili mestieri, finì arruolato nella polizia di New York, e propose alle autorità locali di costituire una speciale squadra di agenti italo-americani per arginare con maggior efficacia le mene delle molte associazioni a delinquere più o meno mafiose emigrate dall'Italia negli Stati Uniti. Negli anni tra il 1885 e il 1909 condusse con la sua speciale squadra una lotta accanita in particolar modo con la Mano Nera. I suoi successi furono innumerevoli, la sua figura diventò leggendaria e ispirò l'immaginazione popolare.

Monk Eastman: distruttore di masse
La seconda dispensa delle avventure di Petrosino. La fantasia popolare che sbrigativamente elabora tali storie non presta troppa attenzione alla realtà, la Mano Nera dominante la prima dispensa è dimenticata nella seconda a favore del suo capo Monk Eastman procedente per proprio conto. Il capo risulta essere un anglosassone, gli italoamericani, evidentemente, non sono considerati capaci del potere assoluto sia pure in senso negativo. Comunque, forse più che un criminale, Monk Eastman si propone come uno scienziato pazzo, signore della vita e della morte a mezzo elettricità. Lo stesso Petrosino cambia, diventa a tratti addirittura troppo simile a Sherlock Holmes, arrivando, lui, Petrosino di Padula, a stendersi e a fumar la pipa sul divano per riflettere. L'unico legame con la realtà che le dispense mantengono consiste nell'immaginazione e nell'elaborazione di nuovi tipi di morte per Petrosino. Avendo decretato la Mano Nera la morte del suo nemico, costui finì varie volte all'ospedale, mentre sui muri della casa di Petrosino al numero 233 di Lafayette Street, la stessa via ove aveva sede il comando di polizia, ogni mattina fiorivano enormi disegni di mani verniciate di nero. Una simbologia che faceva sorridere Petrosino, ma atterriva la moglie Angelina. Angelina Petrosino aveva ragione. Nel 1909 Petrosino, sbarcato in Italia per risalire le fila della malavita prosperante negli Stati Uniti, fu ucciso a colpi di pistola a Palermo. La vera morte del detective fu più semplice, ma più efficace di quelle complicatissime ideate ed elaborate dalla fantasia popolare, sempre sventate dall'intervento di una parzialissima fortuna.

Piccolo Cesare
II salto qualitativo dalla rozza prosa dell'Anonimo L. C. autore di Petrosino all'efficace prosa di William Riley Burnett autore di Piccolo Cesare è impressionante, e rispecchia i mutamenti avvenuti negli anni che separano le gesta effettive di Petrosino dalle gesta effettive di Al Capone, ispiratore del romanzo a episodi, di cui presentiamo qui l'episodio forse più significativo. Burnett ottenne nel 1929 un eccezionale successo con la storia, calcolatamente elementare, del gangster italo-americano Rico, della sua contenibile ascesa e della sua incontenibile caduta. Il romanzo, che deformava in senso romantico le avventure della malavita italoamericana ormai cresciuta in potenza, autorità, influenza, a costituire per i più sprovveduti e incolti emigrati dall'Italia un'opportunità di affermarsi negli Stati Uniti, su trasferito sullo schermo nel 1930 dal regista Mervin Le Roy con Edward G. Robinson nella parte di Rico, e, insomma, alla lontana di Al Capone. li successo dilagò. Il gangster, specie se italo-americano, era definitivamente di moda come personaggio di quei tempi. Distratti dietro il timore e l'ammirazione per le gesta dei fuorilegge, gli americani ne percepivano esclusivamente la portata anarchica, senza afferrarne la portata industriale, senza rendersi conto, in parole povere, dell'estendersi, maturare, imporsi di una nuova industria, basata quasi scientificamente sui difetti, le tare, i, vizi degli Stati Uniti: l'industria del crimine. Di mafia si parlava già, naturalmente, ma come di una favola con la quale imporre il sonno ai bambini riottosi. Quelli che contavano ancora per il grosso pubblico come per il pubblico degli eletti erano i singoli mafiosi, gli eroi sia pure al negativo.

La guerra per ganghe
Nella realtà, la convulsa realtà degli anni venti, le cose andavano molto seno romanticamente e molto più spietatamente. C'erano gli avventurieri,le teste calde, gli svitati, ma sbocciavano e si affermavano anche grandi organizzatori, veri e propri industriali del crimine. Il più famoso tra coloro fu, indubbiamente, Alfonso Capone, già pistolero d'origine napoletana importato nel 1920 da johnny Tornio a Chicago da New York quale guardia del corpo. Johnny Torrio fu il genio anticipatore dell'organizzazione capillare delle gang e dello sfruttamento intensivo del proibizionismo. Fu il primo a pianificare e amministrare il crimine nell'ambito del capitalismo del nostro secolo. Al Capone, detto Al Brown in pubblico e Scarface a causa della disgustosa cicatrice da coltello, si trovò abito bene con Torrio, dimostrando doti superiori a quelli d'una guardia del corpo. Questa ricostruzione puntigliosa e vibrante del giornalista inglese Kenneth Allsop, andato a Chicago per rintracciare un mito dell'infanzia, ci permette di seguire, quasi come in una cronaca sportiva, le battaglie per la supremazia tra le varie gang di Chicago, e in particolare il definitivo passaggio, per forza maggiore, del potere da Tornio ad Al Capone. È solo l'inizio della grande e sinistra carriera del gangster per antonomasia, una carriera che fu troncata solo per evasione fiscale, a mezzo di stratagemmi e soprusi, da parte della giustizia, incapace di colpirlo altrimenti.

Gusbaimì'
Se restare in vita era difficile anche per i migliori sicari, ovvero per i più decisi, i più esperti nell'uccidere, figurarsi come era difficile, poi, per i peggiori, ovvero per i meno decisi, per i meno esperti, per coloro che la nascita e l'aspetto gabellavano per duri, ma che duri non erano. Qui Giancarlo Fusco racconta la storia di un sicario indeciso e inesperto, disposto a tradire la malavita per non tradire la propria natura di molle, e causa irrimediabile, quindi, non solo della propria morte, ma pure della morte altrui, della morte del garante esibito per ottenere il contratto. Questa è la storia di Nicoline Bendando, soppresso da alcuni compari una notte d'uragano del dicembre 1931 all'estrema periferia di Orlando in Florida, è la storia di un'intera famiglia di emigrati e dei loro rapporti con il loro mondo, lo spietato, ma in certo modo rigoroso mondo della malavita mafiosa. È la storia soprattutto dei gusbaimì, salvacondotto, impegno, parola chiave, assicurazione che può condannare assicuratore e assicurato come li può far salire di carriera e condizione. Gusbaimi, compari, vi baciamo le mani.

Errore mondano
In Deznon Runyon, « molte persone legittime si interessano molto delle azioni lei tipi tosti e li considerano molto romantici ». È il complesso a cui i gangster italoamericani degli anni venti debbono tanta parte della loro fama irresistibile almeno quanto sinistra, del loro fascino opinabile almeno quanto nefando. L'ironia di Damon Runyon proietta gli eroi più molli che duri in una forsennata comica finale, i bulli e le pupe di questo racconto sorto delle imitazioni che risultano delle parodie. Ma, dietro di loro, non si può fare a meno di intuire i modelli truci, gli esempi tenebrosi, i pericolosi ispiratori.

La mafia ai ferri corti
Negli Stati Uniti la mafia prosperava, acquistando sempre più dimensione industriale, in Sicilia la mafia si trovò a sostenere l'offensiva fascista. Mussolini alla Camera lanciò la sua sfida «Signori, è tempo io vi riveli la mafia. Ma prima di tutto, io voglio spogliare questa azione brigantesca da tutta quella specie di fascino, di poesia che Inon merita minimamente. Non si parli di nobiltà e di cavalleria della mafia, se non si vuole veramente insultare tutta la Sicilia... ». Il prefetto Cesare Mori, incaricato di far scomparire la mafia, scatenò una vastissima azione repressiva. Ovviamente, nelle retate caddero soprattutto i pesci piccoli, anzi i pesci piccolissimi, quelli che i grossi proprietari terrieri siciliani, ora che avevano la milizia fascista a rassicurarli contro ogni minaccia proletaria, erano disposti a lasciar perdere, quando addirittura non desideravano lasciar perdere. Mori, per conseguire il maggior successo, passò sopra a qualsiasi scrupolo e rispetto umano. La sua ama repressione fu di tipo coloniale: persone e cose, interi paesi furono coinvolti nella violenza poliziesca, e la tortura della cassetta ebbe un suo eccezionale periodo di fulgore. L'alta mafia siciliana resisté, comunque caparbiamente, e quella americana offrì addirittura i suoi servizi ai fascismo. Vito Genovese, trafficante di stupefacenti e di donne, assassino rato dalla polizia statunitense, donò 250.000 dollari per la costruzione della casa del fascio a Noia, e, per ricompensa, venne subito nominato commendatore della corona dallo zelante Vittorio Emanuele III.

Tiro al piccione
primo romanzo di Westlake, sul “nipote” Questo suo eroe è letteralmente un nipote con uno zio gangster,
Charlie Poole non riesce a credere, sulle prime, che qualcuno lo voglia morto. Ci dev'essere un equivoco. Lui è sempre stato innocuo quanto io può essere un giovane impastato di pigrizia e innamorato soltanto del quieto vivere. Chi mai si prenderebbe il disturbo di far fuori un tipo insignificante come lui? Ma i due killers fanno sul serio, e Chariie, dietro il banco del piccolo bar, che gestisce, si rende conto finalmente che, in mancanza di un miracolo, la sua ultima ora è suonata. Il miracolo si verifica, ma è... come dire?.... provvisorio. Charlie riesce a rifugiarsi al primo piano, dove ha l'alloggio ma è in trappola. Unica via d'uscita: la finestra. Meglio rischiare qualche osso, che l'intera pellaccia... e Charlie spicca il volo verso la libertà e verso una girandola do avventure che scuotono definitivamente la sua pigrizia. I suoi incontri con i piccoli e grossi calibri della malavita, i suoi scontri con la polizia si susseguono in un frenetico crescendo. Stanco di scappare, Charlie da inseguito diventa inseguitore, e non gli dispiace la parte dell'eroe, dato che, tra un'avventura e l'altra, si e' trovato ragazza.

Lily Valentino
Non a tutti gli italoamericani è riuscita, tuttavia, l'integrazione. Ci sono stati, e ci sono, tra loro quelli che tornano indietro, senza aver concluso molto. Tornano indietro costretti dalla polizia o dalla nostalgia, come questo Lily Valentino. Il padre, Giuseppe Valente, gelataio di Palermo, era emigrato a Little Italy per offrire ai picciotti degli Stati Uniti la sua raffinata specialità al mughetto. Il gelato al mughetto, però, trapiantato, non ebbe fortuna. Con l'emigrazione molti picciotti avevano perduto il gusto, i sorbetti restarono nel mastello, accusati di saper troppo di brillantina. Giuseppe Valente dovette ripiegare su prodotti medi, il banale icecream, ebbe un poco più di fortuna, ma si attirò addosso anche l'attenzione dei boia d'una gang italoamericana. Fu questo a spingere sulla via dell'assassinio il figlio maggiore Nicola, che da allora fu meglio conosciuto nella malavita come Lily Valentino. Il nome glielo dettero gli altri appunto per la poco fortunata specialità del padre, il cognome se lo cambiò, invece, lui, ingenuamente convinto di rassomigliare al celebre attore pugliese.

Pacco a sorpresa
Buchwald ci racconta del ritorno di Bartlett a La Corna, in Sicilia dopo tutta una vita, meno i tre anni iniziali, vissuta negli Stati Uniti e dopo una ragguardevole carriera, prima come fattorino di una Drag di contrabbandieri di alcolici, poi come impresario del gioco dei dadi, alla fine come padrone di biliardini elettrici, macchine a gettone„ totalizzatori, lotterie proibite, immobili, concessioni di lavanderie, e uomini politici, insomma, di un impero finanziario di milioni di dollari. L'incontro, anzi lo scontro, con la vera patria, di Bartlett è tra i più aspri e tumultuosi, e Buchwald si diverte, e ci diverte, continuando a esasperarlo, a costo di costruire una Sicilia assolutamente di maniera, esattamente come la può vedere un americano o un italiano, o, per l'esattezza, un siciliano, di ritorno. Eppure la simpatia di Buchwald è tutta per Bartlett, proprio per quel Bartlett ai danni del quale sino all'ultima pagina si accanisce a escogitare la più macroscopica e impressionante serie di disavventure.

Il sasso in bocca
Michele Pantaleone è il principale studioso della mafia in Italia. E dire studioso a proposito di Pantaleone non basta, bisogna dire anche: il principale avversario. Il più accanito, il più ardente, il più impetuoso. Da Mafia e politica, 1962, la prima esauriente analisi del fenomeno della mafia nel dopoguerra, a Mafia e droga, 1966, a Antimafia, occasione mancata, 1969, a oggi, Pantaleone ha continuato, e continua, a condurre la sua appassionata battaglia. È logico, quindi, che un suo scritto appaia alla fine di questa raccolta, come conclusione provvisoria. Tuttavia, considerando i caratteri particolari della raccolta, non si è scelto un saggio di Pantaleone, ma un suo copione cinematografico, la sceneggiatura per il film Il sasso in bocca di Giuseppe Ferrara. Il copione può esser benissimo letto come un singolare componimento narrativo. Spregiudicatamente e suggestivamente, i dati sulla storia della mafia attraverso i secoli e gli oceani sono ricapitolati e montati secondo un ritmo aggressivo e concitato. Una storia d'avventure, ma di avventure agghiaccianti: infatti, i dati essenziali ci sono tutti o quasi. Come conclusione provvisoria de I figli di Mammasantissima offrono di che meditare, di che meditare amaramente. Perché della mafia, è ovvio, non è ammissibile dar colpa solo alla mafia.