Uno dei titani della letteratura fantastica si cimenta in un excursus critico minuzioso sulle radici del genere e sui suoi più valenti esponenti fino agli anni ’30, trascurando colpevolmente quelli il cui lavoro appariva su riviste specializzate, collane pulp et similia. Esclusione che molti hanno interpretato come sintomo della profonda frustrazione di un autore che si vedeva costretto dalla scarsa fama a pubblicare i suoi racconti proprio su quelle riviste considerate di serie B e alle quali lo legava un controverso rapporto di amore e odio. Del resto più che per il suo valore accademico-letterario, il saggio di Lovecraft (pubblicato per la prima volta sulla rivista “The recluse”) è celebre per la emozionante ed emozionata vis polemica che lo abita e ne elettrizza le pagine, altrimenti un elenco abbastanza sonnacchioso di autori più o meno conosciuti. La tesi dell’autore è che l’horror e il misterioso non sono forse generi letterari di grande diffusione (“…i racconti di sentimenti e fatti ordinari, o di comuni deformazioni sentimentali di tali sentimenti e fatti occuperanno sempre il primo posto nei gusti dei più”) e chi predilige certe atmosfere è visto con un certo sospetto - estetico, se non altro - ma questa ghettizzazione non ha ragion d’essere, e anzi è profondamente ingiusta e pretestuosa. In queste pagine il lettore Howard P. Lovecraft prima che lo scrittore Howard P. Lovecraft rivendica il diritto di emozionarsi alla lettura di storie corrusche di spettri e mostri o alla descrizione di mondi immaginari senza per questo essere additato come un infantile fruitore di libri-spazzatura.
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