"Guardò scogliere franare in mare e guardò prati che rattrappivano, guardò foreste marcire in fango e le siepi sulle rocce. Guardò uccelli su carogne, guardò i carnivori sbranare uccelli, guardò animali villosi enormi che agonizzavano di carestie. Vide un pianeta di pietre e sale che invecchiava senza vita. Sentì il tempo dilatarsi, se esisteva ancora il tempo. Provò il terrore che su quel mondo non ci fosse alcuno scopo."
Il tempo è inevitabile, ma il tempo è rotto, è un’illusione, è una rovina. In Non tutti certo moriremo il tempo è un mazzo di tarocchi con cui divinare la Fine del Mondo. Un’idea soggettiva, figlia di una concezione non lineare dell’esistenza. I protagonisti del romanzo sono colti nel momento in cui vivranno / hanno già vissuto / stanno per vivere / non vivranno mai la fine del proprio mondo. E se la loro percezione dello spazio e del tempo è relativa, con il tempo che scorre in modo irregolare, contraddittorio, individuale, la vita dei personaggi è un flusso che si muove intrecciando storie e mescolando presente, passato, futuro. Un caleidoscopio di eventi, di esperienze, di morti e rinascite che trasporta chi legge in un labirinto da cui è difficile fuggire. Alessandro Forlani ci porta a considerare ogni esistenza come parte di un unico destino messo in scena su un folle palcoscenico. Un percorso che genera, distrugge, salva, condanna, unisce, emargina. Perché non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo infine trasformati.
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