" I romantici... molto più che la malinconia hanno voluto acclimatare l'orrore" scriveva Apollinaire nel 1917. E Vittorini, trent'anni dopo sul "Politecnico", a proposito del "romanzo gotico": "bisogna fare attenzione alla letteratura che esprime i sottosuoli". Il racconto "fantastico" o "nero" è una favola per adulti, ma pone alcune domande sull'esistere. Così è per esempio che, nell'Italia postunitaria fra il 1860 e il 1880, interrogano la realtà gli scapigliati. Loro numi e maestri sono Poe, Baudelaire, Hoffmann, e quella loro realtà, in cui ricercare è più logico che trovare, è fatta visibile e invisibile, di miseria vera e di immaginazione ossessive. Da queste ossessioni, da questo mistero dell'esistere concreto in cui si mescolano i problemi storici, in questo vagare tra fisico e psichico, tra razionale e irrazionale, tra fantastico e reale, nascono i racconti neri che presentiamo: sono ventitre, di sedici scrittori - da Rovani a Emilio Praga ai due Boito a Tarchetti, da Carlo Dossi a Faldella a Lucini - in gran parte ascrivibili al gruppo e alla sperimentazione della scapigliatura lombardo-piemontese. Fantastici o ironici, spiritici o degni dello "humor nero" di un Breton, pervasi del maledettismo romantico o superbi del simbolismo postscapigliato, questi racconti recano un'impronta inconfondibile: non la pretesa di "grande" letteratura, ma piuttosto il segno di un "vissuto".
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