Nata nello Iowa e cresciuta in una piccola città del Montana, Dorothy M. Johnson figura tra i migliori narratori ai storie western, già nel 1957, infatti riceivette lo Spur Award, il massimo premio conferito per questo genere di letteratura. Nella presente raccolta appaiono le novelle più celebri; molte hanno ispirato, anche di recente, film di grande importanza. Sebbene alcune siano state scritte nel 1953, i rapporti tra gli indiani, ed esattamente i Chevennes o le tribù dipendenti dai Chevennes, e i bianchi, sono visti attraverso una « comprensione » moderna. Con questo non vogliamo dire che la Johnson abbia rincorso il mito del selraggio buono: è riuscita, semplicemente, dove altri, anche di maggior fama, avevano fallito, a evitare cioè di avvicinare l'indiano senza sentimentalismi e senza avversioni. È molto probabile che quest'impresa. compiuta con successo, sia dovuta all'attenzione e al lucido interesse dell'autrice per le vicende raccontate ancora nei piccoli paesi di frontiera, riechiggianti le gesta dei così detti « mountain men », quegli uomini che nel secolo scorso commerciavano con le varie tribù e spesso adottavano le usanze dei pellirosse. Costoro erano di solito disprezzati dagli altri bianchi e dovevano farsi rispettare con la forza o con l'astuzia: certo, però, nessuno poteva conoscere meglio di loro gli indiani e assorbire non solo le abitudini ma anche il modo di pensare dei « selvaggi ». Seguendo le tracce di tali « depositari » della verità indiana, l'autrice è riuscita a camminare sulle stesse piste battute dalle tribù descritte e a penetrare con naturalezza e con uno stile rapido, quale quello di un Ring Lardner o di Damon Runyon, in un mondo sinora a noi estraneo, legato a una natura violentata dalla civiltà bianca e a tradizioni che, sebbene siano state per molti anni oggetto di scherno e di critica, continuano sino ai giorni nostri, come si vede nd racconto riguardante un gruppo di giovani indiani in partenza per la guerra moderna fatta dai bianchi.
|