Quando si era chinato sul corpo di quella ragazza ancora senza nome aveva pensato che le avevano impedito di costruire giorno per giorno la sua storia. Forse non avrebbe combinato nulla di buono, ma poteva tentare. Con una fluidità ed una verve sempre più convincenti, Michele Lo Foco ci trascina e rapisce nell'ingegnoso intrigo del suo nuovo giallo, lasciandoci poi guidare dai fertili dubbi, dalle gustose riflessioni, dall'ironia malinconica, dalla quieta maestria investigativa del suo ormai indimenticabile Commissario Rosario Morando. Un'opera è sempre i suoi personaggi, la densità o bizzarria universale dei loro carattere, i loro nascondimenti soprattutto interiori: ed anche qui, sul filo di una vicenda drammatica sempre pronta a spalancarsi sotto turbati baratri ironici, taglienti filosofemi esistenziali, emerge un purgatorio di destini annodati come dai fili di un inestricabile fato sarcastico: quella ragazza era una miniera di sorprese e lui non era che al limite dei fatti. Al limite dei fatti Rosario Morando e il suo vecchio amico ed ex collega Oreste Rossignolo, vitalissimo seppur pensionato e ridotto su una sedia a rotelle, discettano insieme della delittuosa tramaccia da scoprire, ma anche dell'intero abbrivio o sconforto epocale, con un continuo rimando e dialogo, gomito a gomito o nella distanza telefonica e del computer: ed il dialogo trasparente e sornione, amicale e quasi fraterno fra i due, è certo la costante più felice e necessaria dell'intero libro, con le loro amabili schermaglie di ipotesi, supposizioni, tracce, comprove…
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