Roma 2005… Un giallo canonico, con tutti i suoi stilemi: il delitto, la ricerca dell'assassino (e del movente), l'incertezza delle indagini, altre quattro vittime (e fanno cinque), e il variegato mondo di contorno fra banchieri, prostitute, onorevoli "regionali", politici e tutto un "generone" altolocato che svela le sue basse gesta. Un poliziotto volitivo e sagace è al centro di tutto; un poliziotto che anzitutto interroga, catechizza se stesso: "La vita gli diceva che chi vince ha ragione e chi perde ha torto, ma il suo lavoro era quello di mantenere l'equilibrio tra chi vince e chi perde." Dunque, né il vecchio Maigret, né Poirot, che sono anche due diverse scuole di pensiero… E neanche Montalbano, per intenderci. Piuttosto, un riaggiornato, e nostrano Tenente Colombo, tanto più temibile quanto bonaccione, almeno in apparenza. Qui c'è l'insofferenza dell'uomo che non sopporta più l'inumanità attorno a sé, reietta, cinica e alienata. Il Commissario Morando ondeggia così tra un cinismo d'autodifesa, ancor più tagliente, e una bonaria, filosofica compassione nei confronti dei propri simili, condomini dello stesso purgatorio (in)civile: "E la vita gli diceva anche che ci vuole una buona dose di tolleranza, per consentire che tutti possano tentare di sopravvivere in modo dignitoso, e senza ammortizzatori non è nemmeno possibile quel circolo economico che rende alcuni meno poveri: in definitiva la disonestà è un elemento di equità sociale"… Ma come in un dramma metaforico, gli si contrappone un giustiziere "etico", un assassino "purificatore", almeno nella sua fantasia esaltata e perversa di controideali: "Io sì, ero proprio una formichina, lo ero ma non lo sono più. Ho cambiato lavoro: elimino gli insetti, aiuto l'umanità, aiuto quei disgraziati a sparire dalla terra. Sono un benefattore"… Chandler o Kafka? Detective story o bestiario psicologico? Camilleri o Distretto di polizia? La nostra odierna Roma caotica fa da sfondo, becera e trafficata, indifferente e attratta solo dalle banali, vorticose entità dei Soldi, della Politica e dello Spettacolo. Una prosa secca, lineare, tagliente e ritmata, conduce le danze, scandita dal fitto srotolarsi dei dialoghi e degli eccidi romanzeschi, mai abbandonata alle oziose concessioni del moralismo. Ed è il linguaggio, in fondo, l'altro vero instancabile investigatore; dell'anima, del costume, della deriva sociologica che recita la sua verità, ma come sotto la finzione sempre in onda dei riflettori: "Si calmi, Seri, non faccio favoritismi, io. The show must go on, lo sa meglio di me, no?".
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