Brigate rosse. Nuclei armati proletari. Prima linea. Sigle dietro cui, dopo tutto, si celano esistenze e provenienze molto diverse. Tanto più questo è vero per i personaggi del nuovo romanzo di Veraldi. Qui infatti ai rivoluzionari nostrani si mischiano terroristi palestinesi, agenti americani e sovietici, spie israeliane, "manodopera" di varia nazionalità. Accanto a Gerardo Guerra, vecchio sovversivo la cui convinzione resiste a ogni smacco, e a Massimo e Sara, apprendisti delle ultime leve, insieme cerebrali e smaniosi, arrabbiati e dubbiosi, ecco dunque il portoghese Felix, killer per vocazione di famiglia, organizzatore internazionale della sovversione, pronto a lavorare per chiunque e ovunque; e Grenoble, alias Mahmoud, mediorientale fornito di una abnegazione incostante e di una pieghevole lealtà; e il russo Valodia, e l'americano George. Tutti si ritrovano, per segreti e complicati itinerari, a Napoli, che non è per loro il luogo dell'eterna attesa e dell'eterna delusione, ma la sede di un comando Nato; e vi si ritrovano per mettere a punto un piano audace, che però non può, non deve realizzarsi. Napoli, la Napoli così efficacemente descritta da Veraldi nella Mazzetta e in Uomo di conseguenza, nel Vomerese diviene un crocevia molto credibile del terrorismo internazionale, dove appena si insinua la sua gente, la sua confusione, il suo interminabile dramma. Eppure la vicenda, segnata e mossa da una violenza orchestrata, fredda, micidiale, estranea alla città, sembra casualmente e quasi paradossalmente intonarsi al suo sfondo; infatti, in quei vicoli intasati, in quegli smorti caffè, tra la piccola folla dei quartieri tutto succede, e insieme nulla. Come un serpente che si morde la coda, il terrorismo prepara i suoi piani e li sostituisce con altri, organizza attentati e li cancella, affila le armi e le usa per massacrare i suoi, secondo una logica il cui senso sfugge ai più, ma forse non a tutti. Il vomerese è il primo romanzo italiano sul terrorismo, nostrano e non. Ma non è questo il segno della sua originalità. Il merito di Veraldi sta nell'aver rappresentato nel pieno del suo dramma una spietata — ma davvero non ignorabile — realtà umana, nell'averla fissata attraverso una impeccabile macchina narrativa.
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