«L'invasione della realtà da parte del meraviglioso»: nulla meglio di queste parole dell'autore potrebbero illustrare l'opera di Andre Pieyre de Mandiargues, che, sulla scia del Prix Goncourt, assegnatogli a Parigi lo scorso anno, esce oggi dalla ristretta cerchia dei conoscitori per affermarsi come l'opera di un autentico maestro. Mandiargues è uno scrittore raffinato, sfolgorante, sottilmente morboso, che si iscrive nella tradizione di una prosa miniata, e insieme ricca di una tensione nascosta e d'illuminazioni veloci e crudeli. Si immagini la cupa violenza di Sade dissolta nel limpido meccanismo di una novella di Borges e si avrà un'idea approssimativa dei racconti di questo Museo nero, dove i limiti che separano il verosimile dal fantastico sfumano continuamente davanti agii occhi. Nessuna descrizione è più pastosa e concreta, reale fino ai particolari più inaccettabili, di quella che Mandiargues dà dell'impossibile — e basterà pensare al grottesco banchetto delle gigantesse, nella «Tomba di Aubrey Beardsley», che si risolve in una fantasiosa carneficina, o alle nozze del signor Molle, curioso personaggio indefinitamente allungabile e restringibile, — mentre i racconti più veristici, che sembrano addirittura ispirati a tragedie di cronaca nera — come quello che apre la raccolta — sono invece immersi in quell'atmosfera feroce e misteriosa che è appunto delle favole. E, alla fine dei lbro, il lettore si rende conto di aver camminato sul filo di un rasoio che solo a poco a poco rivela quanto sia tagliente.
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