"Se tutto fosse andato come molti pensavano che andasse, Gesù Cristo sarebbe di nuovo tornato fra noi e la Bandiera americana sarebbe stata piantata su Venere e Marte." Come sempre, Kurt Vonnegut non ci mette molto a chiarire ai lettori lo stato delle cose. Questa volta, la sua genialità iperrealista e dissacratoria s'incarna nella figura di Eugene Debs Hartke, un reduce dal Vietnam che porta in sé la ferrea certezza del sopravvissuto alla fine di tutte le ideologie e di tutte le speranze, e che fa interagire tale certezza nel corso della sua attività di insegnante, dapprima in un college per ricchi bambini handicappati, e quindi in un carcere di massima sicurezza che diverrà il teatro di una Grande Evasione. Sullo sfondo, un'America regredita a Babele postatomica e fagocitata dagli Orientali, i quali si sono sostituiti con ineguagliabile velocità alla vecchia classe dirigente. Ed ecco allora il gelido resoconto di Eugene, che si annuncia foriero della massima disumanità e del più completo disordine: un caos terminale ben simboleggiato dai miseri brandelli di carta su cui Vonnegut immagina che il suo personaggio abbia scritto questa storia.
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