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Bigalassia - La Tribuna

 
 
Codice:10072      
 
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N. Volume:   35
Titolo:   Nel nome dell'uomo - Autocrisi
Autore:   Gianni MONTANARI e Piero PROSPERI (ps. di Pierfrancesco PROSPERI)
 
Data Pubbl.:   1 Dicembre 1976 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:  
Note:   Supplemento a Galassia n.222
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   308
 
 
  Ultima modifica scheda: victory 22/06/2023-17:05:08
 
   
 

 
 
Nel nome dell'uomo
Oltre ad essere il primo romanzo di quella polivalente creatura che passa sotto il nome di Gianni Montanari, Nel nome dell'uomo è una di quelle opere destinate a suscitare interesse, perplessità e probabilmente panico in qualunque lettore. E' un romanzo duro, difficile, privo di compromessi di qualsiasi genere; traboccante invece d'ambiguità, simbolismi, interpretazioni sorprendenti difatti in sé già sconcertanti. Un'opera, al di là d'ogni dubbio, totalmente originale; nata dalla rielaborazione lunga e personalissima d'una idea (quella della nebbia) che Adalberto Cersosimo mi regalò una sera di diversi anni fa, e che in seguito Gianni mi rubò, visto che io non ne facevo nulla. Difficile tentarne un'interpretazione. Già a prima vista è evidente come la storia si dipani per strati sovrapposti, ognuno dei quali può contenere in sé la ragione totale del romanzo. In primo luogo la trama, che mi sembra fare tutt'uno con l'ambientazione: cinque personaggi dichiaratamente operanti, più un sesto la cui identità (simbolica) mantiene un carattere netto di polivalenza anche dopo l'epilogo, due case isolate tra loro e pure complementari, e naturalmente la nebbia. Una trama sostanzialmente immobile, fissata in una ripetizione pressoché rituale con bruschi balzi in avanti o all'indietro, tutta sottintesa. Nell'insieme mi pare di scorgervi un continuo, oserei dire straziato simbolismo di ritorno al grembo materno (e Luca, uno dei personaggi, è brevemente consapevole del fatto); simbolismo che del resto è uno dei caratteri dominanti dell'opera, con quella sua voglia malcelata d'una quiete finale. A questo livello il lettore cerchi d'acuire la sua percezione dei nessi logici, o perderà irrimediabilmente la possibilità di penetrare in questo mondo chiuso e refrattario. L'altro strato è dato dalla riflessione ragionata dei personaggi sugli avvenimenti, e paradossalmente anche dal riflesso che gli avvenimenti hanno sui personaggi. A questo punto Montanari gioca disinvoltamente (senza per questo fare sfoggio, sia chiaro, di velleità intellettuali che sono lontanissime dai suoi interessi) con concetti d'ordine semantico, psicologico, psicoanalitico; e, sotto sotto, anche religioso. E il risultato più straordinario di questa operazione è il suo assumere un carattere d'estrema apertura, libera ad ogni interpretazione, pur nella concretezza inalienabile di certi punti fissi. Particolarmente interessanti, per le implicazioni logico-ontologiche che evidenziano, i brevi stralci dal diario di Jules: c'è materiale di lavoro per tante altre ipotesi (e qui possiamo anche rintracciare la parentela culturale più facilmente azzardabile, quella cioè con Ballard e Aldiss, pur entro limiti ristretti e comunque immediatamente superati dall'astrazione personale dell'autore). Evidente anche la funzione di catalizzatori logici che assumono via via i tre personaggi maschili: Jules per tutta la prima parte, Luca per la seconda, e Federico per le ultime pagine. Sono loro a fornire i dati più immediati, e al tempo stesso più remotamente sepolti, di questa metamorfosi psichica che costituisce il nucleo della storia. E anche loro hanno un modo di porgere che è tutto indiretto, quasi taciuto; solo che dietro la reticenza delle parole, dietro questo pudore terribile e spaventato, spuntano le ombre più inconsuete della nostra stessa condizione umana. O meglio: della condizione umana di Montanari, tormentata come poche altre, che ha il coraggio di farsi testimone universale. Non fosse che per questo dovremmo sentirci in debito con lui. Lo stile, che si trova fatalmente a dover giocare con le stesse parole, a dover riproporre di continuo le stesse informazioni, è anch'esso fissato in quel particolare tipo d'eternità che caratterizza la trama (e che ciò sia voluto, ce lo conferma l'accenno alla teoria agostiniana del tempo, metro ultimo forse di tutto lo svolgersi degli avvenimenti). L'apparente difficoltà di certi passaggi, l'uso volte un po' ingenuo di certi vocaboli, sono semmai indici delle difficoltà incontrate nel battere un terreno rimasto sinora inesplorato. E del resto, per essere al suo primo romanzo, Montanari dimostra un'invidiabile capacità di taglio e di sceneggiatura, oltre che di personalità linguistica. Mi lusinga pensare che un po' del merito vada anche a me, per le sollecitazioni (culturali e no) che negli anni della nostra amicizia gli ho offerte. Queste brevi note, redatte immediatamente dopo la lettura del romanzo, hanno la sola ambizione di fornire al lettore un minimo punto d'appoggio, e di costituire una parte di una delle possibili chiavi d'interpretazione. Perché, ripeto, la caratteristica forse più affascinante dell'opera è la sua polivalenza; e sarebbe assurdo pretendere di esaurirla nello spazio d'un'introduzione.

Autocrisi
Siamo particolarmente lieti (e la frase non suoni di pura e semplice circostanza, giacché così non è) di poter presentare al nostro pubblico un romanzo italiano, dopo tanti anni di silenzio su questo fronte; e siamo certi, viste le più che buone accoglienze già riservate alle due antologie da noi curate con Gianfranco de Turris, che anche a quest'opera toccherà un giudizio assolutamente onesto e sincero, scevro di pregiudizi campanlistici o esterofili. Se fino ad oggi la produzione italiana di romanzi di fantascienza è stata relativamente scarsa, buona parte della colpa si deve proprio all'inesistenza d'un mercato interno; il che ha fatalmente costretto gli autori a rinunciare ai progetti più ambiziosi, o addirittura a tenersi nel cassetto lavori già pronti. E proprio questo è il caso di Autocrisi, romanzo scritto da Prosperi diversi anni or sono, e noto sino ad oggi ad una limitatissima cerchia d'appassionati. Nonostante i suoi indubbi meriti, l'opera era rimasta medita; e, modestia a parte, vogliamo sottolineare di essere stati noi gli artefici del suo recupero, proprio in vista di quella politica editoriale già delineata nelle introduzioni a Destinazione Uomo e a Amore a quattro dimensioni. Piero Prosperi è autore già noto a quanti seguono il campo italiano dai suoi inizi: ha pubblicato molti (e sovente eccellenti) racconti su Oltre il Cielo, Interplanet, Futuro, e un po' su tutte le fanzines. Venticinquenne, laureato in architettura, attualmente sotto le armi, dotato d'un'aria notevolmente ascetica e d'un inconfondibile parlata fiorentina, Prosperi è uno dei pochi scrittori specializzati italiani che abbiano continuato per anni, con invidiabile serietà, a lavorare nel campo. Proprio il fatto che egli abbia scritto questo romanzo, nonostante la pressoché completa impossibilità di pubblicarlo, testimonia pienamente il suo impegno. Due sono i tempi a lui più cari: gli universi paralleli (su cui sta scrivendo un nuovo romanzo, che speriamo senz'altro di poter presentare al più presto) e le automobili. Autocrisi, come già il titolo indica chiaramente, s'inserisce in questo secondo filone; e svolge nella sua trama alcuni temi classici della science-fiction (la scoperta d'un'altra razza intelligente, i contatti con un altro pianeta), ma con un'angolatura tutta personale, che non sapremmo definire altrimenti che automobilistica.
Un'operazione, questa, piuttosto curiosa, che non ci risulta sia mai stata tentata da nessun altro autore; e risolta in una narrazione fluente, semplice ma cattivante, con precise scelte nell'impianto della sceneggiatura, vivificata dall'apporto di quei frammenti che danno continuamente il quadro generale della situazione. Semmai, se ci è permesso fare un appunto a Prosperi, vorremmo notare come lo scioglimento finale sia un po' troppo semplicistico (e magari anche utopistico, considerata la situazione politico-economica del mondo contemporaneo); ma è un difetto sostanzialmente marginale, che nulla toglie alla serietà e alla piacevolezza del romanzo. In appendice si trovano inoltre alcuni racconti di nuovo centrati sul tema dell'automobile, per dare una panoramica più esatta delle tendenze dell'autore.
Chiudendo queste brevi note (meglio ci sembra lasciare immediatamente il lettore, di cui attendiamo ovviamente il giudizio, al romanzo) vogliamo semplicemente dire che Autocrisi è il primo, grosso passo che la nostra rivista fa per stimolare gli autori italiani a produrre opere di vasta portata. E mentre possiamo già ufficiosamente annunciare la prossima uscita d'un romanzo di Miglieruolo (Come ladro nella notte), rinnoviamo il più caldo invito a tutti quanti a sottoporci i loro manoscritti. Non siamo rimasti insensibili al grido di dolore... Scherzi a parte, anche noi ci stiamo provando. Adesso o mai più.