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N. Volume:   36
Titolo:   Trenta giorni aveva settembre - Una coppa piena di stelle
Autore:   Robert F. YOUNG (ps. di Robert Franklyn YOUNG)
   Traduzione: Roberta RAMBELLI (ps. di Jole RAMBELLI)
 
Data Pubbl.:   1 Giugno 1977 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   A Glass of Stars, 1968
Note:   Supplemento a Galassia n.223
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   332
 
 
  Ultima modifica scheda: Mr.Chicago 30/10/2020-16:12:44
 
   
 

 
 
Trenta giorni aveva settembre
Tra l'ironia e la tenerezza: la narrativa di Robert Young sembra oscillare tra questi due poli. Qualche volta, s'indirizza verso il dramma o sfiora la tragedia; ma si direbbe che l'autore ceda malvolentieri a queste esigenze. L'ironia e la tenerezza sono i suoi due sentimenti preferiti, e si sforza quasi sempre di contemperarli con grande finezza. Qualche volta i suoi racconti sembrano riecheggiare temi cari a Bradbury, qualche volta richiamano motivi prediletti da Simak. Non si tratta mai di una imitazione a freddo, voluta e programmatica: piuttosto, di una occasionale consonanza con il patrimonio spirituale di questo o di quell'autore. E, in ogni caso, Young riesce a serbare la sua originalità. I temi prescelti in questa selezione di racconti sono spesso sociologici, in perfetta risonanza con alcuni dei problemi maggiori del nostro futuro: l'incremento demografico, le megalopoli, l'automazione. Altri autori, dotati di minore finezza e di una inferiore capacità di delicata ironia presenterebbero il futuro del mondo come un incubo tipo Metropolis, con masse di lavoratori-schiavi abbrutiti dalla fatica disumana. Young è troppo sottile e intelligente per abbandonarsi a concezioni in fondo così anacronistiche. Le sue masse del futuro sono abbrutite, ma non dal lavoro: dall'ozio forzato, imposto dall'automazione che ha reso ricchi gli uomini, ma li ha lasciati senza nulla o quasi da fare. I governi futuri non si preoccupano di favorire la riproduzione della razza umana, per avere a disposizione più schiavi: anzi, cercano di frenarla, ma contemperano quella necessità con una umanità irrinunciabile. Caso mai, è la folla, non il governo, ad essere spietata. Sono forse tutte sfumature che possono sfuggire a un lettore disattento, ma sommate insieme costituiscono una caratteristica che distingue Young da molti altri autori, e gli conferisce una personalità quasi unica. Altri dei suoi racconti prospettano futuri anche più remoti, e qui la sua fantasia garbata e commossa ha più vasto raggio di manovra, qui la sua ironia può giocare con grazia sdrammatizzando episodi in se stessi agghiaccianti: basterebbe pensare a L'Arc de Jeanne, e alla piega doppiamente inattesa che finisce per assumere il rito orrendo dell'autodafé; o a Progetto Piramide, in cui la battaglia decisiva per la conquista della Galassia finisce per essere combattuta (o meglio, non combattuta) in un passato remotissimo; o a Straccio, un racconto in cui l'inventiva è messa al totale servizio della commozione, tuttavia frenata da una autoironia incarnata dal protagonista stesso. Forse è difficile trovare per questi racconti di Young una parola più forte e più altisonante di ‘deliziosi'. Ma non è detto che questa parola, in ultima analisi, debba essere per forza meno elogiativa di ‘grandiosi' o ‘allucinanti'. Anzi, in un certo senso, è un tributo ad una qualità interiore umana assai più preziosa.

Una coppa piena di stelle
Robert F. Young si ripresenta con un'altra selezione di racconti, caratterizzati dalla stessa lieve ansia di poesia e dalla stessa malinconica grazia che caratterizzavano Trenta giorni aveva settembre. Ed è presente la stessa sfumata, remota ironia. Ma questa volta, quasi sempre, è la malinconia ad avere la meglio. La malinconia, ed una tensione particolare, una nostalgia per la fiaba e la leggenda. Questo non impedisce ai racconti di rappresentare esempi corretti e del tutto ortodossi del science-fiction. Nessuno di loro è improntato ad una fantasia del tutto libera, avulsa dalle regole del gioco fantascientifico. Le componenti che li rendono affini alle fiabe e alla leggenda non sono metodologiche, sono sentimentali. Non è il congegno che sa di fiaba e di leggenda: è l'atmosfera. E questa atmosfera sopraffà a volte la delicata, sotterranea ironia e porta allo scoperto più forti impulsi drammatici. Basta considerare L'Albero, una sinfonia dolorosa lanciata in un inarrestabile crescendo verso una conclusione drammatica: drammatica, non tragica, perché Young rifiuta l'essenza della tragedia, e così scopre che alla fine il delitto consumato da Tom Strong era un pietoso gesto di eutanasia; basta considerare I miei occhi hanno visto la gloria, un tema che sarebbe piaciuto pazzamente a Bob Sheckley, il quale l'avrebbe trattato con aperto sarcasmo, mentre Young, in perfetto equilibrio tra ironia e fede, lo risolve con puntiglioso scrupolo, dilatandolo a dimensioni di pura leggenda. Basta pensare a La stella del desiderio, in cui la violenta polemica contro la dittatura militarista sfuma nello sfondo, per lasciare in primo piano gli elementi intensamente lirici. Più apertamente drammatica la conclusione de I passi dei grandi, ma temperata dalla vena di umile, semplice poesia intessuta nelle brevi pagine del racconto. Più apertamente ottimista, la sua controparte, Quel che successe su Venere, un po' trasparente e voluta nella trama, ma aggraziata da particolari così leggiadri e spiritosi (l'intervento dei venusiani) da acquistare una sua originalità inconfondibile. Forse la ricerca della poesia, in Young, può essere accusata di qualche forzatura. Forse è facile imporre al lettore la certezza di stare leggendo un'opera di poesia quando gli si rovesciano addosso torrenti di fiori e di laghi azzurri e di alberi verdi e di dolci colline e di uccellini canori color arcobaleno, e quando gli si presentano contadini e baristi che parlano con estrema proprietà di linguaggio, sciorinando eleganti metafore e teorie elaborate. Forse Young ha scelto una scorciatoia, per “fare della poesia". E' difficile stabilirlo. Comunque, si sente fremere, in ogni sua parola, una sincerità, un abbandono autentici. E, a questo punto, si è irrimediabilmente conquistati.