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N. Volume:   33
Titolo:   Gli occhi di Heisenberg - Stella innamorata
Autore:   Frank HERBERT
   Traduzione: Roberta RAMBELLI (ps. di Jole RAMBELLI), Gian Paolo COSSATO e Sandro SANDRELLI
 
Data Pubbl.:   1 Settembre 1976 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   The Eyes of Heisenberg, 1966 - Whipping Star, 1970
Note:   Supplemento a Galassia n.219
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   340
 
 
  Ultima modifica scheda: victory 22/06/2023-17:03:33
 
   
 

 
 
Gli occhi di Heisenberg
Vincitore del premio Science Fiction Writers of America per il romanzo, Frank Herbert gode, nel suo paese. di vasta stima e ammirazione. Di per sé, questa non sarebbe una raccomandazione sufficiente. E non tanto perché, quando sentiamo parlare di premi letterari noi italiani tendiamo ad arroccarci istintivamente su posizioni di scettica diffidenza, ammaestrati dalla casistica ammannitaci, dal primo gennaio al trentun dicembre di ogni anno, dal mondo culturale nostrano; ma perché gli americani, adepti diligentissimi dell'arte di discriminare in tanti altri campi, quando si tratta di fantascienza sembrano adottare la politica dell'embrassons-nou,. Questa assenza quasi assoluta (ma è doveroso ammetterlo, ci sono lodevoli eccezioni) di capacità critica ha fatto si e fa si che vengano osannate con sorprendente imparzialità la delicata, severa poesia di Simak e le sollecitazioni puramente epidermiche di Cordwainer Smith, i sottili, intelligenti sarcasmi di Sheckley e di Tenn e le ingenue invenzioni space-opera di Williamson, la formidabile strutturazione stilistica di Vonnegut e l'onesta produzione artigianale di Murray Leinster, le torve ma ciclopiche allegorie di Philip Dick e le avventure alla Gordon di Hamilton. Se lo si considera da un punto di vista puramente letterario, Herbert possiede uno stile disastroso, e qualunque altra parola meno forte suonerebbe come caritatevole eufemismo. Se è vero che buona parte degli scrittori di fantascienza si divide in tre categorie, quelli che hanno idee ma non stile, quelli che hanno stile ma non idee, e quelli che non hanno idee ma non hanno neppure stile, Frank Herbert appartiene di diritto alla prima. Ma questa affermazione non deve suonare denigratoria. Perché Herbert non ha stile, perché tenti rabbiosamente impennate pirotecniche condensando certe sintesi fino al limite dell'incomprensibilità nella ricerca disperata di inventarsi uno stile, salvo poi abbandonarsi a monotonie sintatiche sconcertanti, a ripetizioni pedestri che arrivano a presentare il soggetto, nell'identica forma, anche tre o quattro volte nella stessa proposizione: ma le idee, e ragguardevoli, non gli mancano mai. E se un lettore cerca, in un romanzo di fantascienza, non eleganza di scrittura e raffinati sperimentalismi, ma l'interesse di una vicenda serrata, ben costruita, capace di vincolare l'attenzione dalla prima all'ultima pagina con situazioni inedite, colpi di scena non gratuiti e soluzioni intelligenti, una chiara caratterizzazione dei personaggi non aliena da plausibili notazioni psicologiche, Frank Herbert è in grado di servirlo alla perfezione. La fine degli Immortali è un esempio quasi paradigmatico di questa sua capacità. Imparentato alla lontana, come nucleo tematico, con quell'opera notevolissima che è O?! Amaranto di Vance, il romanzo di Herbert ha una sua poderosa originalità: la concezione dell'allevamento in vitro degli embrioni umani, l'invenzione di Ciber, uomini che hanno rinunciato alle loro emozioni per acquistare i poteri dei robot, e la trovata conclusiva, autentica rarità della narrativa fantascientifica americana, in cui ogni situazione di oppressione viene di regola risolta con una rivoluzione vittoriosa e l'annientamento dei malvagi, costituiscono altrettanti punti a suo merito. Frank Herbert non ha stile, ma sa benissimo farsi leggere con interesse e soddisfazione. E questo, bisogna ammetterlo, non è da tutti, e non soltanto nel campo della fantascienza.

Stella innamorata
Tra le innumerevoli cosmogonie di cui siamo debitori alla science-fiction. questa, immaginata da Frank Herbert, è certo la più singolare. Ma nello stesso tempo è singolarmente persuasiva, perché, ovviamente pur nella sua apparente stravaganza, soddisfa le nostre esigenze estetiche e logiche. Non che essa appaia chiaramente fin dalle prime pagine del libro, poiché la verità è avvolta, con eccezionale maestria, in una sorta di caligine ragionativa, il cui difficoltoso chiarimento, tra speranze, insuccessi e disperazioni, si estende per tutto il romanzo. Il quale romanzo è realizzato non solo con un invidiabile ‘uid' fantascientifico - una sorta di cavalcata tra universi che s'intersecano, la cui localizzazione spazio-temporale sembra permearsi di assurdità, e invece ubbidisce a una logica stringente - ma è strutturato con un'infernale abilità per cui, nonostante esso sembri esplodere o disgregarsi ad ogni pie' sospinto, prosegue implacabile, pagina dopo pagina, fino allo stupefacente scioglimento finale, Tutto questo è ottenuto da Herbert con una sorta di ‘corsa da fermo': quasi tutto il romanzo si svolge al chiuso, in pochi metri cubi d'aria soffocante, nell'abitazione del Calebano, uno degli esseri più strani che la science-fiction ci abbia mai presentato. Eppure, qui si spalancano ad ogni istante, o quasi, delle finestre che scaraventano i nostri eroi nei punti più lontani dell'universo, a significare la sostanziale coincidenza, su un piano superiore e molteplice di esistenza, tra un singolo punto e l'infinito. In una galassia nella quale esseri raziocinanti dai più diversi aspetti si sono riuniti in una ‘con federazione dei sensitivi', e i Calebani rappresentano l'estraneità assoluta, l'incomprensione totale, il linguaggio vago ed irritante che un individuo logico può essere costretto a tenere, secondo i casi, con un insetto, un albero o una nube di gas pulsante, I lunghissimi, fumosi, eppure essenziali colloqui tra il Calebano Fanny Mae e il ‘sabotatore straordinario' McKie, occupano da soli una buona metà del romanzo: a loro inevitabile eppure essenziale imprecisione non solo fanno disperare McKie, nel romanzo, ma anche il lettore, il quale ne ricava peraltro un ulteriore motivo d'interesse e di accanimento (per non parlare di chi ha tradotto queste pagine, sempre più impigliato, una riga dopo l'altra, in un linguaggio etereo e del tutto estraneo all'esperienza terrestre...). In questa cornice, naturalmente, una trama: una congiura che minaccia l'esistenza dell'intero universo e di chi vi abita, e la tenace lotta contro il tempo di un gruppo d'individui per evitare la catastrofe. Un pizzico abbondante di ‘thrilling', naturalmente, ma anche una galleria di personaggi in tutto tondo. Si è detto e scritto che la fantascienza, ultimamente, è ritornata sulla Terra, e all'uomo ed ai suoi problemi più attuali. Herbert, descrivendo una sorta di super-umanità, la ‘confederazione dei sensitivi', sostanzialmente rappresenta un modello di pacificazione e collaborazione non soltanto tra uomini di pelle diversa, ma anche tra esseri di mondi diversi, il cui aspetto non potrebbe essere, reciprocamente, più alieno: uomini, cioé, e Pan Spechi (strani gruppi di cinque individui dagli occhi di diamante, di cui uno solo è cosciente e gli altri vivono una esistenza fetale in apposite culle), e Wreave (lunghi. muscolosi vermi, dall'atteggiamento professorale, i cui arti prensili escono dalla bocca), e Laclac (esseri tentacolari), e Palenki (grosse tartarughe con cento gambe, un braccio e numerosi occhi); Un esempio di fraternità cosmica - fatta eccezione, magari, per i Palenki, ancora non del tutto assimilati, ma in via di esserlo - per chi sappia coglierlo ed apprezzano.