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Bigalassia - La Tribuna

 
 
Codice:10024      
 
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N. Volume:   24
Titolo:   Notte di luce - Una questione di razza
Autore:   Philip José FARMER
   Traduzione: Riccardo VALLA e Maurizio CESARI
 
Data Pubbl.:   1 Febbraio 1975 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   Night of Light, 1966 Dare, 1965
Note:   Supplemento a Galassia n.206
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   330
 
 
  Ultima modifica scheda: victory 22/06/2023-11:58:32
 
   
 

 
 
Notte di luce
I grandi temi religiosi, la fede, il peccato, la dannazione, l'eternità, sono piuttosto trascurati dagli autori di fantascienza. C'è il filone della mitologia di Lovecraft e dei suoi continuatori, ci sono vari racconti con protagonisti gli dèi nordici o greci, ma questo tipo di opere non giunge mai a sviluppare i veri temi religiosi e appartiene più propriamente al filone avventuroso o a quello dell'orrore, senza tentare una fantateologia in cui si esamini l'essenza del divino e dell'umano. Le poche opere veramente fantateologiche sono quei classici che occasionalmente ci sono stati forniti da un autore come Blish (Guerra al Grande Nulla), o W. Miller (Un cantico per Leibowitz), o del Rey (For I am a Jealous People); l'unico autore che ha svolto con continuità un'indagine su tutti gli aspetti della religione è Philip José Farmer. Farmer ha esplorato gli effetti di una tecnocrazia opprimente nel suo ciclo dei Lovers (Un amore a Siddo, Gli anni del Precursore); il tema della resurrezione fisica nell'Inferno a Rovescio e nella serie del Riverworld (ancora inedita in Italia); il rapporto tra creatore e creatura nel Creatore di universi e in Father (anche questo inedito). Da queste opere in cui si discutono gli aspetti materiali della divinità, la logica continuazione era una sola: che Farmer passasse a un grandioso romanzo come Notte di Luce, in cui affrontare il tema religioso fondamentale: la conversione, la Presenza che, se gli offre prove della sua esistenza, può essere creduta solo attraverso un atto di fede. John Carmody, il personaggio di Farmer che qui vediamo e che compare anche in altri tre racconti, è già sul punto di credere quando lo vediamo comparire, e le sue esperienze della Notte di Luce sono il tragitto psicologico che di un grande peccatore fa un grande credente. Come c'era da aspettarsi da Farmer, il suo romanzo “funziona" come un perfetto meccanismo e rispetta tutti i canoni della fantascienza: il punto di partenza è un pianeta dove avvengono straordinari (ma spiegabili!) fenomeni psichici e fisici, e di qui la speculazione si svolge nella pii assoluta correttezza del cosa accadrebbe se... ricavandone le conseguenze più logiche e ardite. Al lettore che cerca nuove idee, Notte di Luce offre alcuni spunti tra i più stimolanti: l'idea dell'evoluzione della dottrina; quella della Rivelazione che avviene per gradi, in tempi e pianeti diversi; la possibilità di conciliare le fedi terrestri con le extraterrestri; lo stesso pianeta Dante's Joy, che presenta all'uomo la possibilità di diventare onnipotente e di creare il suo dio, o di offrirsi un sonno (anzi, il Sonno) col rischio di trovare al suo risveglio un pianeta in cui il bene e il male si sono rovesciati. Ma soprattutto Farmer è un narratore, e come narratore ci dà un personaggio che ha una sua esperienza da comunicarci, un'esperienza profondamente umana e vissuta, e in complesso un'opera completa. «Notte di Luce, — diceva Damon Knight, il più incontentabile e il più letterario dei critici specializzati — è un libro stimolante, potente, e Philip José Farmer è uno dei più grandi fantascientisti viventi. Questa è la sua opera più affascinante. »

Una questione di razza
Philip José Farmer è uno dei massimi autori della fantascienza. Completamente sconosciuto in Italia, prima che Ugo Malaguti lo pubblicasse sulle pagine di ‘Galassia' con uno dei suoi capolavori — ‘L'Inferno a Rovescio', un romanzo singolarissimo nella storia della fantascienza, e che a quel tempo fu accolto favorevolmente dai lettori di ‘Galassia' — le sue opere sono oggi considerate alla stregua dei più grandi romanzi degli autori americani prima di lui giunti all'attenzione del pubblico italiano: il suo ciclo di Jadawin e Kickaha è giustamente famoso qui da noi, come pure i suoi maggiori capolavori ‘The lovers' (pubblicato dall'SFBC con il titolo di ‘Un amore a Siddo') la poetica storia delle latithe in un difficile equilibrio ecologico, e ‘The Green Odissey' (edito in Italia con il titolo ‘Pianeta in via di sviluppo'); oltre, naturalmente, all'ottimo ‘Gli anni del Precursore', pubblicato da ‘Galassia'. Farmer, autore audace e di difficile classificazione quant'altri mai, è chiaramente uno degli autori di più autentica avanguardia che la fantascienza abbia offerto: e qui ‘avanguardia' è intesa non nel senso delle vuote strampalerie di una certa scuola inglese, che ormai non è più di moda neppure nel suo paese d'origine, ma nel senso di avanguardia d'idee e di pensiero, l'unica avanguardia che concepiamo e che ci sembra possibile concepire. Farmer, insieme a Phiip Dick e a Brian Aldiss, rappresenta la più luminosa realtà della fantascienza dopo gli anni ‘50: romanziere completo e di razza, rifugge dal compromesso e porta alle logiche conseguenze anche l'assunto più inusitato e sconvolgente. Dare, il romanzo presentato in questo numero di Galassia, appartiene alla produzione farmeriana più avventurosa e, nello stesso tempo, allusiva. Il problema dei conflitti razziali è presente su un piano simbolico fin dalle prime righe, e riempie le pagine che seguono fino alla sua logica, anche se fin troppo ottimistica, soluzione. Ma l'assunto dell'opera è solo un pretesto per una delle turbinose esibizioni di fantasia alle quali Farmer già ci ha abituato. La descrizione dei particolari di una società quasi visiva, nella sua realtà sconvolgente, il rapido, caotico succedersi delle azioni che però obbediscono tutte a una loro ferrea logica, ma non una logica raziocinante, bensì ebbra e spesso allucinata, appartengono alle pagine migliori della fantascienza. Certe immagini pittoriche ricordano da vicino i poderosi quadri del più grande van Vogt (in alcuni punti pare quasi di assistere a certi epici scontri de ‘Il libro di Ptath', a certe angosciose e potenti immagini di ‘La nave delle tenebre') mentre però il succedersi frenetico delle azioni è propriamente farmeriano, e il modo di scrivere, così personale e inconfondibile, sempre a cavallo tra l'ironia beffarda e la commossa partecipazione, porta la firma indiscussa di questo autore che non a torto Alfred Bester ha definito ‘di genio'. ‘Dare', che nei presupposti non sarebbe dispiaciuto a un buon allievo fortiano qual è stato il Russell di ‘Schiavi degli Invisibili', ribadisce inoltre la qualifica di maggiore paesaggista della fantascienza, che Farmer ben ha meritato, strappandola al più volte premio Hugo Jack Vance, autore questi che a una maggiore eleganza stilistica e a una notevole sottigliezza, purtroppo, non fa corrispondere che raramente l'impennata di genio e l'estro irresistibile che Farmer dispiega a ogni pagina di ogni suo romanzo. Il pianeta Dare, diviso tra uomini e ‘horstel', in una situazione esplosiva che ricorda da vicino quella del profondo Sud d'America (con i suoi ghetti e il suo Ku Klux Klan, con i suoi giudici venduti e i suoi linciaggi) rimane impresso nella mente del lettore, e i protagonisti che si muovono in questo paesaggio intenso e vivissimo da Jack Gage al cugino Ed, dalla bellissima R'li alla giovane Polly, fino ai terrestri giunti in esplorazione senza neppure sospettare quel che avrebbero poi scoperto — appartengono ormai alla storia della fantascienza. Un grande ritorno, dunque, quello di Farmer su Galassia: con un romanzo tra i più discussi della sua produzione, con un'opera che, ne siamo certi, fornirà argomento di meraviglia e di serrato dibattito per tutti gli appassionati italiani di fantascienza.