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Bigalassia - La Tribuna

 
 
Codice:10022      
 
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N. Volume:   21
Titolo:   Anonima intangibili - Storie marziane
Autore:   Brian W. ALDISS (ps. di Brian Wilson ALDISS) e Leigh BRACKETT
   Traduzione: Vittorio CURTONI e Gianni MONTANARI
 
Data Pubbl.:   1 Maggio 1974 ISBN:    non presente
Titolo e/o Data Orig.:   Intangibles, Inc. and Other Stories, 1969, 1970 - The Coming of the Terrans, 1967
Note:   Supplemento a Galassia n.197
 
Genere:   Libri->Fantascienza
 
Categoria:   FANTASTICO Rilegatura:   Brossura
Tipologia:   Principali Dimensioni:   124 x 184
Contenuto:   Antologia  N. pagine:   318
 
 
  Ultima modifica scheda: victory 22/06/2023-11:53:24
 
   
 

 
 
Anonima intangibili
Un volume come questo “Anonima Intangibili" merita senz'altro una presentazione particolare, che cerchi d'inquadrarne il significato e i presupposti in un contesto concretamente critico. Del resto sarebbe inutile dilungarci sull'autore, troppo noto ai nostri lettori per necessitare di qualche parola; ci basterà dire, a livello di cronaca mondana, che Aldiss, visto di persona, è un tipo estremamente stimolante che irradia attorno torrenti di energia intellettuale e di dinamicità speculativa. Questa sua antologia, pubblicata in Inghilterra lo scorso anno e immediatamente scelta per Galassia, ci offre invece l'occasione d'iniziare un discorso che abbiamo in mente da tempo. Le nuove frontiere della fantascienza, di cui si parla in questo momento un po' dappertutto con sincero interesse, sono effettivamente state raggiunte dalla produzione angloamericana. Accanto ai lavori più deteriori, che ovviamente continuano a sopravvivere se non altro per esigenze di mercato, si sono fatte luce negli ultimi anni nuove tendenze della massima importanza. Volendo classificare, si può dire che queste tendenze sono essenzialmente due. L'una è rappresentata da autori come Zelazny o Delany, per citare nomi nuovi e significativi. Questi scrittori hanno compiuto un'operazione di vasta portata: riducendo l'importanza della trama in se stessa, prendendola quasi a pretesto (e non è un caso che Delany, ad esempio, usi nei suoi lavori trame sostanzialmente di vecchio stampo, di tipo avventuroso classico) essi hanno introdotto nella sf un linguaggio nuovo, moderno, agile al massimo. Romanzi come “This Immortal" o “The Einstein Intersection" sono eccellenti esempi. Quest'operazione, a sua volta, ha generato un'altra conseguenza: il ritorno della sf in un ambito tipicamente umano, dove l'elemento uomo assume importanza predominante ed è in definitiva l'unico protagonista. Cosa questa che già avevano fatto, parecchi anni addietro, autori come Sturgeon e Bradbury, superando la fase avventuroso-tecnologica fine a se stessa. Ma gli scrittori della “nuova ondata" hanno portato alla sf tutta l'esperienza del romanzo introspettivo contemporaneo: la capacità di delineare uno stato d'animo o addirittura un personaggio senza mai ricorrere a definizioni esplicite, ma semplicemente per sottintesi; la novità delle situazioni psicologiche; l'agilità di linguaggio di cui dicevamo prima. Anche Arlan Hellison fa parte di questo gruppo, ma ad un livello più esplicito, più gridato, meno meditato; e comunque i suoi racconti sono di una potenza rara. L'altra tendenza, che grosso modo possiamo far risalire a Ballard, è quella della ‘fantascienza fenomenologica' (almeno così la chiamiamo noi, con tutto il rispetto per la filosofia di Husserl). Ballard, sin dai suoi primi romanzi, ha sempre descritto fatti, ambienti, situazioni. I personaggi, che pure erano concreti e credibilissimi, non agivano a livello conscio: spinti sempre da moventi irrazionali o indecifrabili, attori e spettatori di avvenimenti assurdi a livello logico, trovavano nell'ambiente l'unico contrappunto esatto, e finivano con l'esserne assorbiti. Il vento, l'acqua o la siccità non sono simboli fini a se stessi, ma dotati d'una carica tipicamente sub-conscia. Più o meno negli stessi anni Dick lavorava nella stessa direzione, anche se con risultati differenti. I suoi romanzi presentano in definitiva situazioni classiche, ma è l'inquadratura che cambia. Solo che mentre in Ballard la molla viene dagli strati profondi dell'individuo, in Dick la molla nasce dai fatti stessi. E i suoi personaggi ne sono travolti, marciano in mille direzioni e non capiscono mai dove vanno, fanno cose che probabilmente qualcun altro ha già deciso. In Ballard quindi, e soprattutto in Dick, c'è un senso trascendente che raggiunge talora livelli deliranti; la coscienza che il mondo non sia quello che sembra, ma un'essenza perennemente nascosta ai nostri occhi; e l'idea del metafisico, dell'ontologicamente pregnante, domina su tutto il resto. I risultati migliori di “Anonima Intangibili" si collocano proprio in questo quadro. Vediamo “Automatico Lunare", che anche nell'elaborazione stilistica ricorda molto da vicino Dick: il mondo alla vigilia di un enorme cambiamento, sentito dai protagonisti come un accadimento puramente mentale e trascendente il nostro attuale livello di coscienza. Disgraziatamente il lavoro cede nell'ultima parte, quando si tratta di venire al dunque: il cambiamento stesso è abbastanza ovvio, e non certo originale. Restano però le splendide pagine precedenti, che senza timore d'esagerare sono tra le migliori mai scritte sulla condizione “profonda" dell'individuo. E Rhoda, il personaggio forse più emblematico del racconto, si rivela alla fine uno strumento in mano di qualcosa d'altro (il futuro, in questo caso), esemplificando nettamente la tendenza di cui dicevamo. O ancora “Tutti gli uomini della Regina": dove, a parte la felicità dell'idea e la perfezione di sviluppo, notiamo immediatamente un senso angoscioso di disagio psichico, di turbolenta tensione verso un livello non esattamente definibile. Fantascienza dell'inconscio, in definitiva. Gli altri racconti sono decisamente più normali: da “Anonima Intangibili", delicata parabola sulla vita e sui suoi significati, condotta con grande leggiadria; a “La Sindrome di Randy", dove il travaglio psichico è ricondotto nell'ambito d'una vicenda familiare e quindi a misura d'uomo, e dove è nuovamente notevole la fantasia dell'idea centrale; a “Un pizzico di Neandertal", che rinnova con intelligenza il classico tema del pianeta con qualcosa di strano, inserendolo però in un curioso gioco di scatole cinesi (un racconto con cornice, se vogliamo dire così). Questi cinque lavori coprono un arco di tempo che va dal 1960 al ‘69; e “Automatico Lunare" è l'ultima opera scritta. Segno che questa nuova tendenza, che abbiamo cercato di delineare a grosse linee, s'è presentata anche ad Aldiss come una possibilità di risultati ulteriori. L'antologia, nel suo complesso, è di qualità eccezionale. Vorremmo ancora far rilevare, come ultima cosa, il carattere talora freddo e quasi respingente della prosa: l'unico, appunto, adatto a delineare situazioni che evadono dall'ambito umano per cercare d'afferrare un livello esistenziale più concreto ed autosufficiente. Infine ci sia concesso ringraziare Riccardo Valla e la professoressa Giuseppina Silva Micheli, che hanno fornito al traduttore preziosi suggerimenti per la terminologia propriamente scientifica.

Storie marziane
Questo è il numero natalizio della nostra rivista (con un ghiottissimo boccone per tutti gli appassionati: il magnifico ciclo marziano di Leigh Brackett, una firma che molti lettori ci hanno richiesto con insistenza), e ci pare pertanto opportuno un discorso riassuntivo sulle scelte e la politica generale dell'anno che volge al termine. Come scrivevamo nell'editoriale del n. 21 del Bollettino dello SFBC, il nostro intento è stato quello di presentare lavori e firme al più possibile nuovi. Entrando, più d'un anno fa, nella redazione della rivista, abbiamo pensato che bisognava smuovere un po' le acque; cercare di presentare al pubblico italiano le nuove tendenze della fantascienza, che sono state estremamente varie ed interessanti in tutto il mercato mondiale. Questa idea ci pare obiettivamente ed onestamente d'averla rispettata: se vogliamo fare qualche nome, citiamo Harness (un autore dimenticato che ha ottenuto clamorosi consensi tra i nostri lettori, e che adesso anche la ‘concorrenza' mette in rilievo); K. M. O'Donnell; Panshin; Disch; Moorcock; Delany (altro autore veramente eccezionale, che presto ritroverete al meglio di sé su queste pagine). Per onestà vogliamo comunque sottolineare un fatto: i lavori di Dick, Heinlein, Norton, Hamilton, Simak, Silverberg e il Dare di Farmer sono stati scelti da Ugo Malaguti. Operando nel senso detto sopra, ci pare d'aver raggiunto anche un altro risultato: d'aver cioè ottenuto una rigorosa alternanza dei generi, passando dall'opera sperimentale a quella classica, dal romanzo sui paradossi temporali a quello dichiaratamente d'evasione. I lettori ci hanno reso atto della cosa, e ne siamo lieti; ci pare in ogni caso che questa da noi adottata sia una soluzione soddisfacente per tutti. Il giudizio complessivo del pubblico sulle nostre scelte è stato assai vario: chi ci ha apertamente insultati, e chi ci ha portati alle stelle; chi ci ha capiti, chi no. Vorremmo comunque rilevare che la situazione accenna a sbloccarsi solo al momento attuale: i primi mesi della nostra attività sono stati contrassegnati da un pressoché totale silenzio dei lettori. Le poche lettere che arrivavano (ne fa fede il Bollettino) contenevano giudizi assolutamente drastici, il più delle volte campati per aria o comunque non suffragati da ragioni concrete. E questa è una cosa che ci dispiace veramente: noi non vogliamo ricevere solo elogi, non vogliamo sentirci dire di aver compiuto scelte mirabolanti; siamo pronti ad ammettere i nostri errori. Solo che vogliamo e possiamo farlo esclusivamente sulla base di discorsi realmente critici, non su opinioni personali i cui moventi ci risultino forzatamente oscuri. Non stiamo facendo della retorica: siamo due persone oneste, ci piace dire la verità. Così invitiamo molto cordialmente il nostro pubblico a farsi vivo con sempre maggior forza, a scriverci su tutto quello che va o che non va; e promettiamo di non lasciar cadere nessun argomento, cosa che del resto abbiamo fatto sino ad oggi. Prospettive per il futuro? Le linee generali resteranno le stesse: perché a noi interessa stimolare la discussione, accendere magari la polemica (la sana polemica letteraria, intendiamoci bene, non le beghe da quattro soldi), fare insomma qualcosa di nuovo. Non è senza orgoglio che noi guardiamo l'annata passata: accanto a qualche scivolone, abbiamo fatto esattamente quello che era nelle nostre intenzioni; e Galassia 1970, bene o male, sarà sempre una creatura nostra (per le scelte che ci riguardano, ovviamente), e magari sarà uno dei ricordi più belli di tutta la nostra esistenza. Come speriamo per il 1971 e per molti anni a venire. Un'ultima parola, prima di passare all'introduzione a Coming of the Terrans, ci sia consentito dedicarla a Destinazione Uomo. L'antologia italiana è stata apprezzata dal pubblico e favorevolmente recensita: una sola lettera di commento sfavorevole, in confronto a parecchie altre positive. L'invito a ripetere l'esperimento ci è stato rivolto da più parti, e possiamo ragionevolmente annunciare l'uscita della prossima antologia per i primi mesi del prossimo anno. Sempre nella speranza che si arrivi alla creazione di un vero e proprio mercato italiano, dato che i nostri autori hanno tutte le capacità per diventare seri professionisti; e che si sfatino definitivamente tutti quei pregiudizi che purtroppo ancora esistono, derivanti soltanto da malintesi ed iniziative errate. Ed ora veniamo ad Avventure Marziane, il volume che conclude questa annata cosi fitta di novità. Per l'occasione abbiamo un autore classico e ben conosciuto, e un romanzo-antologia in cui il protagonista dominante è il rosso pianeta che ha fornito ispirazione a tanti scrittori di sf. L'accostamento del titolo con quello del capolavoro di Bradbury non è stato casuale, ma dettato dal contenuto stesso dell'opera. I cinque racconti che la compongono sono stati scritti negli stessi anni in cui Bradbury poneva mano alle sue Martian Chronicles ed è possibile che reciproche influenze abbiano avuto il loro peso nella stesura di entrambe le raccolte. I racconti della Brackett hanno certo una maggiore propensione per l'avventuroso, ma ciò non ne intacca minimamente il valore, in quanto questa avventura compone solamente lo sfondo sul quale si muovono personaggi ammalati di malinconia e di un'insolita stanchezza mortale che li fa opporre, spesso sterilmente, ad un destino già decretato. Nei primi quattro racconti l'alito dell'estremo disfacimento di Marte permea di sé ogni protagonista ed ogni scena: le città dei Canali Bassi sono ancora rigogliose, le tribù dei vasti deserti forti e decise a non venire a nessun compromesso con la civiltà degli odiati invasori; ma in ogni istante tornano ossessivi il ricordo del pianeta morente e l'immagine dei canali che si stanno prosciugando. Lo stesso capitano Winters che ripone nello Shanga l'ultima speranza di ritrovare la fidanzata scomparsa, il medico che in Bisha decide di opporsi ai crudeli riti di un passato non ancora sommerso dalla sabbia del tempo, l'antropologo che intende visitare la città fantasma di Shandakor, il giovane studioso terrestre incuriosito dagli usi e dalle abitudini dei Marziani, tutti quanti non sono che attori e marionette inconsce sul vasto e pericoloso palcoscenico rappresentato dalla sabbia rossa sconvolta dal vento. Il pianeta fagocita queste creature straniere, simile ad una gigantesca ameba rossastra, e le costringe con una violenza ed una crudeltà senza pari a sottomettersi alla sua volontà. Quasi tragedia dell'ignoto, dunque, dove l'uomo tenta inutilmente di sottrarsi alla stretta che lo soffoca e deve inevitabilmente rassegnarsi. Solo nell'ultimo racconto sembra profilarsi una soluzione, ed è proprio un terrestre ad enunciarla, dopo averla sperimentata di persona. La morte non può essere vinta dalla vita, e quest'ultima può soltanto assistere impotente alla lenta vittoria della prima. Tragedia, abbiamo detto, a livello cosmico e personale, per ognuno dei protagonisti. Dopo di che, come è d'uso, passiamo a rivolgere i nostri più cordiali auguri a tutti i lettori, che nel giro d'un anno sono diventati per noi quasi una seconda famiglia. Auguri per tutte le feste che s'annunciano, per il .nuovo anno che arriva, per l'aria piacevolmente eccitata che si respira in questi giorni. Auguri che ovviamente non vengono solo da noi due, ma da tutti coloro che ci lavorano fianco a fianco per il continuo miglioramento della rivista: dall'editore a Roberta Rambelli, a Ugo Malaguti, a Sandro Sandrelli, a Lino Aldani, a Riccardo Valla, ad Aurelio de Grassi, a Gianfranco de Turris, a Carlo Pagetti, ad altri ancora che ci hanno offerto consigli particolarmente preziosi. Un grazie a quanti ci hanno seguiti e un arrivederci al prossimo anno; e con questo abbandoniamo definitivamente il campo al lavoro di Leigh Brackett, mille volte più piacevole di queste nostre righe un po' sconclusionate e commosse.