Una storia di un omicidio bieco per motivi sessuali, vissuta e narrata dai punti di vista differenti dei tre soggetti coinvolti nella vicenda: la vittima, il criminale, la polizia. Una tecnica di narrazione seguita anche dal regista Kurosawa negli stessi anni Cinquanta, ma in un clima di riflessione sulla purezza offesa, sul delitto e sulla attesa di giustizia. E si può credere che nel romanzo di Barlow questa triplicità di piani intenda non tanto inscenare l'intreccio di sogno e veglia della realtà (com'era nel film di Kurosawa, e in tante simili scelte narrative), quanto l'intrecciarsi e il complicarsi di differenti universi morali: il bene, il male, l'indifferenza. La giovane Olwen, sana e bella ragazza della provincia gallese, racconta la delicatezza dei primi falsi amori, un amore vero spezzato dagli eventi, il lavoro in città, la vita che progressivamente la prende, sino all'incontro con l'impostura, l'illusione, il delitto; sullo sfondo la guerra mondiale come palestra di buoni sentimenti, di onore e dedizione. L'assassino più che raccontare introduce alla sua piccola ideologia superomistica e sprezzante, a un dongiovannismo che non ha niente di vitale ed è intriso d'odio per la diversità, per la donna, che è sete di dominio e annullamento dell'altro. E infine il racconto dell'inchiesta di polizia, occhio del mondo che cerca, nelle ragioni e nelle circostanze del delitto, come possano incontrarsi e confondersi vie umane tanto divergenti.
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