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Home Forum | La Fantascienza e gli altri generi... | Altra SF | Discussione: L'Antologia clandestina «prec succ»
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  Autore  Discussione: L'Antologia clandestina  (letto 1753 volte)
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L'Antologia clandestina
« data: 09 Marzo 2010, 20:06:49 »
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Qui di seguito, suddiviso in 4 puntate, il racconto "Oilien" che era stato scritto come proposta per l'antologia "Pagine dal futuro".
« Ultima modifica: 09 Marzo 2010, 22:25:36 di dhr » Loggato
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #1 data: 09 Marzo 2010, 20:09:31 »
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OILIEN



— Quindi non è una forma di vita intelligente — disse il capitano Wu ai suoi uomini che rientravano alla Base.
Gregory e Salvo trascinavano, uno per parte, un grosso sacco. — No — rispose Gregory. I due lasciarono cadere il sacco sul pavimento, visibilmente sfiancati dal trasporto. — Beh, da un certo punto di vista sì — disse Salvo. — Non fumano, non inquinano, non si arruolano in Marina.
Il capitano Wu glissò sulla battuta e andò ad aprire una feritoia del sacco per dare un’occhiata all’alieno ucciso dai suoi uomini. — Brutto porco — commentò.
— E vedesse le loro ragazze! — celiò ancora Salvo.
Il capitano richiuse la feritoia e si rialzò. — Bene. Si torna a casa.
La Base si posizionò in direzione Terra. Qualche precisazione (che risulterà noiosa ai lettori del XXV secolo, ma di qualche utilità per quelli del XXI): la Base era un edificio, non un’astronave. Per tornare sulla Terra non aveva bisogno di motori né tantomeno di entanglement o altri tarocchi quantistici. A facilitare parecchio la vita alle spedizioni spaziali era stata la scoperta dello “spazio escheriano”, che era stato scoperto per l’appunto da M.C. Escher nel XX secolo, ma era rimasto senza applicazioni tecniche per cinque secoli. Per farla breve, ci si era accorti che nell’universo tutto è presente simultaneamente, basta “guardare” nella direzione giusta. Come se l’intero cosmo fosse disegnato su un bersaglio, e si giocasse a freccette: occorre buona mira, sì, ma centrare la casella ANDROMEDA non è più dispendioso (per l’energia del braccio) della casella BAR SOTTO CASA.
Durante la fase di attraversamento, o meglio di riposizionamento, Wu e i due marinai posarono il cadavere dell’alieno sul tavolo chirurgico nella stanza sotto vuoto, quindi andarono alla consolle a esaminare i referti biochimici raccolti dal macchinario. Quando la Base si materializzò sulla Terra, zona Chivasso, l’operazione era appena all’inizio; i tre continuarono tranquillamente con le analisi, in attesa che arrivasse l’inviato del Ministero.
— Si muovevano lentamente — stava riepilogando Gregory. — Dai “gesti” che facevano, per così dire, era chiaro che si erano accorti del nostro arrivo, ma reagivano con una curiosità piuttosto goffa, senza sospetti, senza intenzioni minacciose. Ho provato a lanciare messaggi sonori con pattern matematici differenziati, ma le creature hanno continuato a comportarsi come prima. Ho sparato per aria, e niente.
— Nessun segno di abitazioni — proseguì Salvo — neppure al livello di semplici capanne, per non parlare di strumentazione tecnologica. A quel punto abbiamo deciso che erano “animali e non uomini”, come da regolamento, e abbiamo deciso di abbatterne un esemplare a scopo di studio.
Il marinaio era molto preciso nella terminologia perché le conversazioni scientifiche venivano registrate.
— Difficile? — chiese il capitano.
Salvo fece spallucce. — Pelle piuttosto coriacea; però, come detto, i loro movimenti erano lenti. Quando abbiamo colpito per la prima volta il target, quello ha emesso uno stridio, ma gli altri per un po’ hanno continuato a curiosare come imbambolati. Solo dopo il secondo e terzo colpo si sono dati… beh, alla fuga immagino, ma con molta calma in base ai nostri standard.
— Il bestione ha cercato di caricare?
— No — rispose Gregory.
Intanto a video comparivano i dati biologici raccolti dal sistema. La creatura possedeva uno scheletro in parte interno, in parte esterno. Niente Dna di tipo terrestre, tuttavia risultavano sequenze di sostanze chimiche identiche localizzate in diverse aree del corpo; probabilmente contenevano le istruzioni per costruire l’organismo, ed erano in grado di replicarsi e/o di trasmettersi.
Il capitano osservò un’inquadratura della testa dell’alieno. — Quella cos’è? Bava velenosa che voleva sputarvi addosso? — Dall’organo che presumibilmente corrispondeva alla bocca colava un liquido nerastro.
— Non credo — rispose Gregory. — C’erano macchie di quel colore su numerose creature, a volte attorno alla bocca, a volte anche sulle appendici.
Chiesero al sistema di analizzare il liquido.
— Opporkaputt — fischiò il capitano. — Petrolio.

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« Ultima modifica: 09 Marzo 2010, 20:10:11 di dhr » Loggato
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #2 data: 09 Marzo 2010, 22:12:27 »
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Nel XXIV secolo, ovviamente, il petrolio terrestre era esaurito da un pezzo. Da tre secoli la società, o ciò che ne rimaneva, aveva adottato altre soluzioni per i carburanti e l’energia. Tuttavia la Guerra Civile Globale aveva favorito i Naftor, le cui armi sfruttavano i depositi segreti di petrolio. Depositi di quel genere erano frequenti nel XXI secolo, però di alcuni si era persa traccia; solo alla fine del XXIV secolo a ritrovarli era stata la fazione dei Narcotriador, poi ribattezzati Naftor.
Al termine provvisorio della guerra civile, nella prima metà del XXV secolo, erano stati individuati enormi giacimenti petroliferi su alcuni pianeti dello spazio escheriano; così era ripresa la corsa all’oro nero.
L’inviato del Ministero ascoltò con estremo interesse il rapporto del capitano Wu. Una forma di vita aliena con un sacco di caratteristiche intriganti… soprattutto quanto a gusti alimentari. — Già — disse il militare — perché la presenza del liquido sulle bocche e sulle zampe fa ritenere che quelle bestie se ne abbeverino.
— Americani e alieni si ingozzano di porcherie! — commentò l’inviato. I due risero. — E soprattutto — aggiunse l’inviato — che modo orrendo di sprecare preziose risorse.
— Magari accetteranno di fare cambio merce con il Soylent Fizz — disse Wu, attivando a schermo una mappa del pianeta del petrolio. — Altrimenti, li convinceremo noi a variare dieta. — Wu fece illuminare vari punti sulla mappa. — Dato che le caratteristiche del pianeta non sembravano assolutamente prestarsi alla produzione petrolifera, questo aspetto era stato trascurato nella preselezione logistica. Adesso però che lo sappiamo, senza neppure tornare lassù, aggiustando un paio di parametri siamo in grado di determinare a tavolino quali aree si prestino maggiormente allo scopo. Non a caso, una delle aree è circoscritta nei dintorni della missione appena conclusa, lì dove abbiamo abbattuto l’esemplare.
— Molto “oro”? — chiese l’inviato.
— Sì, se la simulazione effettuata in base ai nuovi parametri risulterà affidabile. Intendo ripartire tra pochi giorni.
— Spedizione di ricerca o già militare?
— Inizialmente di ricerca, ma nel frattempo vi chiedo di predisporre il contingente a Terra, pronto a salpare in qualunque momento.
— Con molta… a-ehm… discrezione — disse l’uomo del Ministero.
Wu annuì. — Diffonderemo la notizia che l’esemplare abbattuto presenta caratteristiche solo moderatamente interessanti. I biologi aggiunti alla nuova spedizione verranno spediti a cercare le creature in località lontane dai pozzi. Probabilmente non ne troveranno… peccato. Noi intanto verificheremo le aree “giuste”.
— E poi…
— Poi… boom — disse il capitano.
E in quel momento un’esplosione fece saltare in aria l’ufficio.

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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #3 data: 10 Marzo 2010, 12:47:22 »
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NOTA: varie cose potevano essere scritte meglio, ma qui si è fatta l'operazione "filologicamente corretta" di mantenere il testo tale e quale, come fu inviato all'Articiocco a suo tempo



L’attentato alla Base, oltre a uccidere il capitano Wu e l’inviato del Ministero, e danneggiare in modo pesante l’esemplare alieno, rallentò di molto le operazioni per l’invio di una seconda missione su quel pianeta, che venne ribattezzato Brus.
Sugli autori dell’attentato circolarono mille ipotesi, ma mesi di inchieste non ne confermarono neppure una. Per fortuna anche i marinai Gregory e Salvo avevano assistito ai test effettuati sul corpo della creatura, per cui i Naftor ebbero notizie di prima mano circa la scoperta top secret effettuata su Brus. Il guaio era trovare un nuovo capitano che fosse “affidabile”: per quanto fosse diventato facile viaggiare per l’universo grazie al metodo escheriano, il problema era e rimaneva quello di non passare la patata bollente alle persone sbagliate. Alla fine si decise di far promuovere Gregory a capitano, ma le procedure richiedevano tempo.
Quando tutto fu pronto, un paio di anni dopo, finalmente partì la spedizione di ricerca. Anzi, due spedizioni: quella ufficiale, allo scopo di studiare le strane creature a doppio scheletro; e quella top secret, nome in codice “Missione Oilien”. Otto scienziati del Centro di Xenobiologia di New Delhi avrebbero portato avanti il primo compito; al resto avrebbe pensato il neo-capitano Gregory con i suoi cinque agenti, imbarcati in qualità di geologi. Con lui c’era anche Salvo con il grado di secondo. La Base era stata ricostruita e ristrutturata dopo la tragica esplosione.
Mentre i biologi si aggiravano alla cieca in un’area di Brus priva di petrolio, e conseguentemente di alieni, in altre pianure del pianeta gli infiltrati naftoriani prelevavano campioni di greggio, tenendo lontane le creature a colpi di fucile. Pareva che ci si divertissero anche. — Dovevamo chiamarla “Missione Buffalo Bill” — commentò ridendo uno di loro.
— Guarda come l’ho Seduto quel Toro! — rispose un altro.
Salvo aveva il delicato compito di incoraggiare via radio i biologi a proseguire le ricerche in quella zona, anche se continuavano a non rinvenire l’ombra di un alieno. Se la cavò egregiamente; riuscì addirittura a convincerli che quella zona era la stessa in cui la Base si era materializzata la prima volta.
Al termine della settimana, la Base si trasferì nella zona degli studiosi per prelevarli, in modo che non vedessero la strage compiuta dai Naftor. I quali, a loro volta, non si presero neppure la briga di immagazzinare una delle centinaia (migliaia?) di creature che avevano abbattuto. L’intero gruppo tornò quindi sulla Terra per il cosiddetto “primo rapporto”. Pessimo da parte degli scienziati, anche se avevano rinvenuto ampie escrescenze fissate al terreno che potevano equivalere alla vegetazione terrestre, nonché “krill aereo” che si lasciava trasportare dal vento.
I Naftor viceversa giubilavano: il petrolio era abbondante e di ottima qualità. La spedizione in massa era prevista per la settimana seguente, stavolta completamente top secret. Che i biologi se ne restassero pure a casa; venne loro detto che, dati i deludenti risultati, sarebbe occorso del tempo per valutare l’ipotesi di inviare una terza missione su Brus; altrimenti, c’erano altri nuovi pianeti che sembravano più promettenti. Ciliegina sulla torta, al Centro di Xenobiologia era pervenuto un (falso) rapporto riservato secondo cui non era neppure vero che gli alieni di Brus avessero un affascinante doppio scheletro: i dati erano stati interpretati in modo troppo ottimista. Gli alieni di Brus – continuava il rapporto – sembravano sostanzialmente identici ai goors di Goor, già abbondantemente studiati. Fu un capolavoro di eterogenesi dei fini: chiunque avesse fatto saltare l’unico reperto alieno disponibile, aveva fatto un favore ai Naftor.
La terza missione su Brus, vale a dire la “Oilien II”, vide la partecipazione di 50 ingegneri idraulici e 500 paramilitari.
Non ne tornò indietro vivo neppure uno.

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« Ultima modifica: 10 Marzo 2010, 12:47:47 di dhr » Loggato
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #4 data: 10 Marzo 2010, 13:38:32 »
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Com’è naturale, lo spazio escheriano consentiva non solo la de-localizzazione immediata da un punto all’altro del cosmo, ma anche le comunicazioni. Le quali erano più veloci della luce, pur essendo normali comunicazioni telefoniche: a causa della struttura dello spazio escheriano (vedi sopra), una chiamata da Alpha Centauri a Canicattì non presentava maggiori difficoltà tecniche che un’interurbana.
Ma.
Appena i 550 uomini della Missione Oilien II, capitanati da Gregory, approdarono su Brus, le comunicazioni si interruppero all’istante. Il capitano sbuffò e avviò le procedure standard di ripristino.
Nulla.
— Emergenza — comunicò. — Rientro immediato.
Smanettò sulla consolle.
La Base non si spostò di un millimetro. Erano prigionieri su Brus. Tagliati fuori da tutto. Non si era mai verificato prima un incidente del genere.
— Ca… capitano, che si fa?
Gregory afferrò un fermacarte e lo sbatté sul pavimento.
Di tutto ciò che verrà descritto in queste righe, la Terra non seppe mai niente. Non fu possibile ripristinare in nessun modo le comunicazioni. Il pianeta Brus sembrava sparito per sempre dalle “mete opzionabili”. Quando, molto tempo dopo, il fatto diventò di (quasi) pubblico dominio, fece sollevare dubbi sulla validità del modello cosmologico escheriano. Dubbi infondati, in quanto nelle sue incisioni artistiche M.C. Escher aveva sempre inserito delle scalette che portavano chissà dove. Anche se tutto è compresente, non tutto è visibile né raggiungibile.
Il vantaggio di avere un “narratore onnisciente” ci consentirà però di sapere come siano andate a finire le cose su Brus.
Il capitano Gregory stava ancora bestemmiando, quando dagli altoparlanti collegati all’esterno della Base provenne un ronzio cupo, sempre più intenso. In mezzo a quel rumore assordante parve, ma era una follia, di distinguere qualche sillaba: — Dovvv… mo kiamalla… mizzzzz… one bafff… fff… bill
I terrestri si voltarono verso i più vicini monitor nelle rispettive sale. Appena qualche secondo; poi decine, centinaia di paramilitari corsero ai fucili.
Gaaa… rda komm… loseduto… quel toro
I vetri infrangibili della Base andarono in frantumi. L’aria di Brus non era respirabile per gli umani. I più vicini alle vetrate si contorsero sul pavimento prima di crepare come pesci fuor d’acqua. Gli altri si rifugiarono dietro i portelli a tenuta stagna.
Konnn… osiamo quesss… ta casa… sì sì siii… — diceva una voce spaventosa dal lato opposto del portello stagno che riparava il capitano Gregory. Il suono proveniva da un’altezza di due metri e mezzo, come se a parlare fosse un gigante. Il ronzio circostante era simile a un nugolo di locuste. — Orrr… Ora apriamo la porta. — Ormai la voce era identica a quella umana, pur con un tono metallico.
Uno sfrigolio. Qualcosa cominciava a perforare il margine del portello, che in teoria era a tenuta di laser.
— Chi siete?! — gridò Gregory, come spiritato.
— Grazie di non essere tornati subito, dopo la prima volta —  rispose, in maniera evasiva, l’alieno che fungeva da capo. —  Così abbiamo avuto il tempo di studiare la vostra pittoresca tecnologia. Boicottare è un vero spasso. — Altri alieni stavano dando l’assalto agli altri ingressi della Base. — Per la verità, siete tornati un briciolo in anticipo: la metamorfosi non era completa. Ma per fortuna noi ricicliamo anche i compagni morti. Ottimi, conditi con il petrolio. — Il portello stava per cedere. — Ah già, “chi siamo”?…
Il rettangolo metallico crollò in avanti, lasciando penetrare la micidiale atmosfera di Brus. Ma tutti gli umani si erano già infilati tute e respiratori. Appena il portello crollò fragorosamente a terra, decine di soldati aprirono il fuoco contro le creature ammassate all’esterno. Nessuna vittima. In compenso, getti di acido alieno sciolsero le tute e bruciarono i terrestri.
Il portavoce degli alieni si piazzò davanti a Gregory, osservandolo (se quelli erano occhi) dall’alto in basso. — Noi — disse — eravamo bruchi. Adesso, grazie alle vostre onde cerebrali che ci hanno fatto evolvere, siamo farfalle.
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #5 data: 10 Marzo 2010, 13:39:33 »
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a marco.kapp: vai, tocca a te!
« Ultima modifica: 10 Marzo 2010, 13:39:52 di dhr » Loggato
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #6 data: 10 Marzo 2010, 14:25:27 »
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Citazione da: dhr il 10 Marzo 2010, 13:39:33

a marco.kapp: vai, tocca a te!


Così? Di brutto? Orpo, mi cogli di sorpresa!
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #7 data: 10 Marzo 2010, 14:36:18 »
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PISTA CICLABILE

Martedì mattina mandai un SMS a Mauro, per chiedergli se voleva venire con me la domenica successiva in bicicletta a Desenzano.
Mi ero scaricato il percorso dal sito della Provincia di Brescia, e sulla carta l’itinerario sembrava facile e suggestivo.
Mi rispose un’ora dopo, con un breve “Ok”.
Ora mi sentivo più sereno. È bello ricominciare a intraprendere nuove avventure con l’amico d’infanzia, dopo che la vita e il matrimonio non sono stati teneri con te.
La domenica mattina, verso le otto e trenta, mi recai con l’auto munita di porta-bici e carica della mia fedelissima mountain bike a casa di Mauro.
“Ohilà, sei pronto a partire?” Lo sollecitai, quando mise la testa fuori dall’uscio di casa.
“Certo, io sono sempre pronto.”
“Il percorso non dovrebbe essere molto difficile; saranno circa una quarantina di chilometri tra andata e ritorno.”
Caricata anche la sua bici, dai parafanghi verde fosforescente, partimmo alla volta di Virle, vicino a Mazzano.
Compimmo un tratto pianeggiante per circa otto chilometri, poi cominciarono le salite dolci delle colline prima di giungere nei pressi di Lonato.
Il paesaggio divenne più verde, caratterizzato da campi di mais alternati ad altri coltivati a viti. A nord facevano da sfondo le prealpi bresciane, con i pendii feriti dalle cave di marmo bianco.
Man mano che si avvicinava l’ora di pranzo la temperatura si innalzava inesorabile, e la maglietta cominciò a bagnarsi di sudore.
Lungo la strada io e Mauro avevamo come argomento principale di conversazione i nostri progetti su future scritture.
Mauro mi disse:
“Sto lavorando su un personaggio nuovo, per un racconto che però potrebbe anche diventare un romanzo. Ora che sono single ho più tempo per scrivere, e mi stanno venendo un sacco di ispirazioni.”
“Bravo, produci, così mi farai leggere e io ti darò un parere.”
Tra uno sbuffo di fatica, una salita e una discesa, giungemmo in vista di un paesino.
Mi fermai, come mio solito, per scattare un paio di foto al paesaggio, poi diedi un’occhiata alla cartina che mi ero stampato per vedere di quale paese si trattava.
Non ne trovai traccia sulla mappa, e pensai che probabilmente era troppo piccolo anche per essere segnato su una carta geografica di quel tipo.
Era infatti poco più di una cascina, con due vecchi sili sul lato meridionale; circondato da campi di erba appena rasati, sembrava avere una forma per lo più quadrangolare.
Il lato est, che era quello che si presentava a noi mentre ci avvicinavamo, era caratterizzato da una facciata a due piani con piccole finestre; era dipinto con un colore rosa pastello ad esclusione dell’angolo, che presentava una deliziosa torretta a tre piani dipinta di un arancio vivace. Il tutto sembrava in ottimo stato di manutenzione.
Su due lati si aprivano degli eleganti portali, contornati da una cornice bianca di marmo di Botticino.
Giunti alla fine della discesa saremmo passati avanti diritti, se qualcosa non avesse attirato la mia attenzione.
Non so se fu la mia immaginazione o se il mio stomaco mi avesse tirato uno scherzo, ma ad un tratto sentii un forte appetito e un dolce profumo di pane mi avvolse le narici.
Mi girai verso il mio compagno di viaggio, e vidi che pure lui aveva uno sguardo rapito.
“Caspita, senti anche tu questo profumo?”
“Sì, e mi è venuta una gran fame. Che ne dici di prenderci una pausa?”
“Ma sì, dai; tanto non abbiamo nessun orario da rispettare. È il bello di essere liberi che puoi decidere come e quando perdere tempo.”
Non sapevo bene come spiegarmi questo improvviso attacco di fame, visto che era solo metà mattina.
Sentivo però come un impulso ad andare a visitare quel piccolo borgo adagiato sulla collina.
Più mi avvicinavo e più sentivo quel profumo arricchirsi di nuove tonalità, che andavano a frugare nei meandri più nascosti dei miei ricordi.
Sentivo profumo di pane, come quando da piccolo mia madre mi mandava dal fornaio la sera perché eravamo rimasti senza pane, e la proprietaria del negozio mi faceva entrare dal retro, attraversando il laboratorio. Poi l’odore si trasformava in erba appena tagliata, come quando da ragazzino feci la mia prima vacanza lontano da casa, in una baita di montagna con il prete e i miei migliori amici.
A pochi metri di distanza il profumo assunse una leggera tonalità muschiata, facendomi riandare con la mente alla prima volta che mi appartai con la fidanzata in mezzo ai campi di mais, pervasi da un crescente desiderio d’amore.
Mi scossi d’un tratto dai miei pensieri, per ritornare nel mondo reale.
Mi fermai ad aspettare Mauro, e nel vederlo notai che pure lui aveva lo sguardo perso nel vuoto, catturato da chissà quali ricordi.
“Ehi, ci sei?” Esclamai.
“Cosa? Ah, sì, ci sono. Scusa, ma mi sono distratto. Cosa facciamo qui?”
“È quello che mi sto chiedendo anch’io. Non avevo intenzione di fermarmi, ma ho sentito come un richiamo nel subconscio.”
Mauro divenne pensieroso. Non era un tipo da lunghi discorsi, perciò disse solo:
“Anche a me è sembrato di sentire un impulso irresistibile a scendere fino qui. Solo che sembrava più… come dire, un invito a pranzo.”
Mi girai e mi incamminai per cercare riparo dal sole, e fu così che vidi l’entrata del negozio.
C’era una stretta vetrina, con esposti alcuni generi alimentari, vino, olio e altri prodotti tipici; sull’insegna c’era scritto “Da Serena: sazia ogni tuo desiderio”.
La stradina che fiancheggiava l’edificio era deserta. Osservai i dintorni, l’ampio prato e la discesa dalla quale eravamo venuti. Regnava un silenzio irreale.
“Visto che c’è questo emporio ben rifornito, che ne dici se ci prendiamo qualche souvenir gastronomico?” Disse Mauro.
“Entriamo, perché il mio stomaco sembra che stia imparando a parlare, visti i brontolii.”
All’interno gli occhi impiegarono un attimo per abituarsi alla penombra, e fu così che all’improvviso mi ritrovai davanti una delle più belle creature che avessero mai abitato questo mondo.
Era una giovane commessa, vestita con un semplice grembiule bianco e un cappellino dello stesso colore. Una ciocca di capelli biondi le scendeva sulla fronte, e dei meravigliosi occhi chiarissimi come ghiaccio sembravano illuminarle il volto.
Il viso leggermente triangolare era molto dolce, come era dolce il sorriso con cui ci accolse nell’emporio.
“Buongiorno, signori. Desiderate?”
Io ero rapito dallo sguardo penetrante di quella fanciulla. Il naso ben cesellato esprimeva vitalità e raffinatezza allo stesso tempo.
Istintivamente corsi con lo sguardo alle caviglie, unica parte del corpo oltre al viso che mostrasse scoperta, e vidi che erano sottili come quelle di una gazzella.
Mi chiesi se fosse single. Poi tornai in me, e balbettai:
“Ehm… non so di preciso cosa prendere; potrei dare un’occhiata in giro?”
“Ma certamente, signore. E lei, invece?” Si rivolse a Mauro.
“I-io sono con lui, vorrei qualcosa per fare uno spuntino.”
“Se vuole, posso consigliare un panino appena sfornato con del salame che produciamo nella nostra azienda.”
“Sì, grazie. Non potrei chiedere di meglio. Anzi, se avete anche del buon vino…”
« Ultima modifica: 10 Marzo 2010, 14:36:37 di marco.kapp » Loggato
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #8 data: 10 Marzo 2010, 16:14:40 »
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Lo guardai un po’ storto:
“Ma Mauro, ti pare il caso? Siamo a metà mattina e a metà percorso e già pensi di ingollarti una staffa di vino?”
Intervenne la ragazza:
“Da dove venite? Vedo che siete vestiti come dei viaggiatori.”
“Stiamo facendo una gita in bicicletta. Veniamo da Virle e siamo diretti a Desenzano.”
“Che bello, mi piacerebbe fare un giro in bici, ma non ho mai tempo…”
Si fermò per un attimo con quegli occhi fantastici fissi nei miei, e sentii mancare un battito.
Ezio, pensai, lascia stare le ragazze. Non sai quanto male possono farti…
Mi bruciava ancora il ricordo della mia separazione, avvenuta quattro anni fa. Dopo tanti anni di fidanzamento e belle promesse, il matrimonio era naufragato tra tradimenti e incomprensioni.
“Come ti chiami?” Mi venne da dire.
“Barbara, e tu?”
“Io mi chiamo Ezio, e questo è il mio amico Mauro.”
Ci stringemmo le mani e io mi accorsi di sudare immotivatamente. Mi sentivo come se avessi fatto l’incontro della mia vita, senza però averne il motivo, visto le poche parole che io e Barbara ci eravamo scambiati.
C’era qualcosa di magnetico nell’aria, e forse il profumo che pervadeva il negozio ne era la causa principale.
“Ora devo andare nel retrobottega a preparare i panini. Volete venire anche voi? Vi posso mostrare anche altre specialità della nostra azienda.”
Io e Mauro ci guardammo negli occhi con sguardo complice. In un attimo ci eravamo capiti come con mille discorsi.
Eravamo di fronte ad una bella preda; da ragazzi liberi quali eravamo diventati, non capitava quasi mai di fare così facilmente conoscenza con una bella ragazza, pertanto ci augurammo buona fortuna a vicenda.
Passammo dietro al bancone ed entrammo in una ampia stanza sul retro.
Aveva tre pareti coperte da scaffali, con un congelatore in un angolo e una piccola cella frigorifera.
Sulla parete di fronte c’era una finestra con inferriate e una porta che dava sull’esterno.
La porta si aprì, ed entrò una donna che doveva per forza essere la sorella di Barbara.
Aveva gli stessi occhi magnetici ma, a differenza della sorella, i capelli erano corvini.
Indossava una corta gonna beige e una maglietta aderente che ne esaltava il busto ben fatto e il seno abbondante.
“Ciao, Lucrezia, abbiamo dei viaggiatori come ospiti. Li sto preparando per lo spuntino.”
“Bene, Barbara. Ne sono contenta: me li presenti?”
Si girò per indicarci, e disse:
“Questo è Ezio, e questo è Mauro. Sono degli sportivi, guarda che belle gambe.”
Io e Mauro tornammo a fissarci.
Che tipe che avevamo trovato! Sembravano un po’ facilone, e anche nel parlare erano un tantino strane. Non mi era sfuggito infatti quando Barbara aveva detto li sto preparando per lo spuntino.
Ad un tratto Lucrezia si chinò davanti a Mauro e cominciò ad accarezzargli i polpacci, salendo pian piano su fino alle cosce.
“Ehi, ehm… Lucrezia, che fai?” Esclamò Mauro sbigottito.
Alzò la testa, ma rimase accucciata.
“Sto verificando se quello che dice Barbara è vero. Cioè se siete degli sportivi. Cosa c’è che non va, non ti piaccio?”
Non riuscivo a credere ai miei occhi; ero molto imbarazzato, ma ecco che Barbara mi si avvicinò e mi prese per un braccio.
“Cosa fai?” Esclamai.
“Lasciamoli soli, non vorrai rovinare una bella festa al tuo amico? Andiamo in negozio, così ti mostro alcune mie specialità.”
All’inizio volevo resistere, ma una specie di nebbia mi era scesa nel cervello. Quel profumo insistente stava cominciando ad ottenebrare le mie capacità di giudizio.
Ma sì, pensai, dopo tutto si vive una volta sola. Inoltre avrò una nuova avventura da raccontare agli amici.
Mi lasciai trasportare nel negozio, e Barbara corse come un fulmine a chiudere la porta e oscurare la vetrina facendo scendere una tenda alla veneziana.
Cominciava a girarmi la testa, forse per l’emozione di trovarmi di fronte a questa bellissima ragazza o forse per l’effetto di qualche droga nell’aria.
Oramai ne ero quasi certo: questo profumo così dolce e ossessivo non poteva essere lì per caso. Ma per quale motivo due belle ragazze dovrebbero voler drogare i viandanti? Forse per rapinarli?
Io e  Mauro non avevamo con noi che poche decine di euro, il necessari per comprarsi due panini e una bibita.
Però pareva che le intenzioni delle due ragazze fossero altre. Barbara si era tolta il grembiule anonimo e stropicciato per mostrarsi con un leggero abito estivo a fiori, che rendeva la sua figura ancora più graziosa e allegra.
Si sedette sul bancone e sollevò la gonna con un guizzo, come per farsi vento, e vidi che al di sotto non indossava niente.
L’apparizione fugace del piccolo triangolo scuro fu come  un segnale definitivo che mi fece avvicinare, anche se un po’ esitante.
Quando fui di fronte a lei, mi prese la testa tra le mani e mi accarezzò la nuca.
Non provavo una tale gioia ed eccitazione da quando io e mia moglie avevamo fatto l’amore dopo esserci riappacificati in seguito al suo primo tradimento.
Avevo promesso a me stesso che non ci sarei più ricascato, che più nessuna donna mi avrebbe attirato in quella trappola dalla quale poi non si esce più se non frustrati da una vita di umiliazioni e tradimenti.
Ma ero lì, ora con il cervello in pappa a causa di quella donna, probabilmente ninfomane, che mi aveva catturato chissà come.
Ci baciammo appassionatamente, dopodichè mi abbassò poi delicatamente la testa verso il suo inguine, e risentii quel profumo dimenticato ma sempre presente nei recessi della mia mente.
Mi fece staccare e riprese a baciarmi in modo insistente; poi iniziò a calarmi i pantaloncini.
“Ah, come ti amo Barbara.”
“Non sai quanto ti ami io, Ezio.”
Ormai vedevo tutto annebbiato, e l’estasi stava per cogliermi, quando per un attimo scorsi un ghigno satanico comparire sul bel volto di Barbara.
Una parte di me, forse l’antico uomo delle caverne che ancora vive nel subconscio e che istintivamente capisce quando è in gioco la sua sopravvivenza, cercò di darmi una scossa.
Un’ondata di adrenalina mi diede per un secondo la lucidità necessaria per rendermi conto dell’orrore al quale stavo andando incontro.
Barbara aveva mutato il suo volto. Ora era una ributtante creatura dalla pelle incartapecorita e una bocca grande, irta di zanne taglienti come rasoi.
Non so come feci a scattare indietro inciampando nei pantaloni, appena prima che lei cercasse di prendermi la testa tra i suoi artigli.
“Ezio, non scappare.” Ringhiò la creatura, la bocca contorta in una parodia di sorriso.
Io indietreggiai, terrorizzato. Non potevo credere ai miei occhi.
“Mio caro, perché ti sei fermato sul più bello? Saresti potuto morire nell’estasi dell’amore, anziché tra indicibili sofferenze.”
“Stai lontana da me! Chi sei?”
Cercavo di farla parlare, mentre tentavo di tirarmi su i pantaloni. Poi mi venne in mente Mauro.
Anche lui era in pericolo. O peggio, era già troppo tardi.
“Sono una sirena. Ci siamo evolute, rispetto agli esseri limitati che erano le nostre progenitrici. Ogni anno, quando il nostri appetito diventa insopportabile, cediamo alla tentazione di banchettare con dell’ottima carne umana. Di solito tendiamo a non rivelarci, altrimenti la vostra ferocia ci estinguerebbe nel giro di pochissimo tempo. O, al peggio, ci ridurreste a fenomeni da baraccone.”
“Avete evoluto anche il vostro richiamo ammaliatore, vero? Non usate più il canto, come nei tempi antichi, ma questo irresistibile… profumo.”
« Ultima modifica: 10 Marzo 2010, 16:16:23 di marco.kapp » Loggato
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #9 data: 10 Marzo 2010, 17:35:22 »
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Riuscii a rialzarmi, ma non avevo idea di come fare per evitare che il mostro mi facesse a brandelli.
Barbara si avvicinò di più, ed ora notavo che dalla schiena curva fuoriuscivano dei rostri appuntiti che stavano lacerando il vestito.
Ora capivo anche cosa intendeva con quella frase riguardante lo spuntino.
“Non abbiamo più bisogno del canto, abbiamo potenziato con l’ingegneria genetica delle ghiandole che secernono un potente ferormone, che agisce sul cervello maschile e lo rende schiavo dell’impulso più potente dopo l’istinto di sopravvivenza: l’istinto sessuale. Questo è utile anche per procurarci il seme necessario a procreare altre come noi, tutte di sesso femminile.”
Nella paura che provavo riuscii a far spazio ad un po’ di lucidità.
Cercai avvicinarmi al bancone, dove facevano bella mostra di sé alcuni insaccati.
“Ezio, non allontanarti da me. Lascia che ti renda ancora un po’ felice. Sento che ne hai bisogno, come tanti dei viaggiatori solitari che percorrono questa strada credendo che basti allontanarsi di qualche chilometro da casa per lasciarsi alle spalle sofferenza e solitudine.”
“Smettila! Tu non hai idea di quanto ami sentirmi libero, e poi mi rimane ancora una persona a dare senso alla mia vita: mio figlio.”
Barbara era a poche decine di centimetri da me, e da un momento all’altro mi avrebbe ghermito con quei suoi orribili artigli e si sarebbe cibata con le mie carni.
L’orrore che mi attanagliava lo stomaco si faceva sempre più profondo.
La creatura scattò in avanti, ma io balzai dall’altra parte del bancone e mi accovacciai, in cerca di un’arma.
“Aahh! Mi hai stancato, ora sei in trappola.” Urlò lei.
Io indietreggiai un poco verso la zona degli insaccati e finsi di piangere disperato. Avevo già visto in un angolo ciò che mi serviva, e speravo che la sirena vedendomi inerme non avrebbe resistito ad attaccarmi per l’ultima volta.
Con un agile salto scavalcò anch’ella il bancone, ed io sollevai gli occhi.
Davanti a me c’era ancora quella bellissima ragazza dagli occhi azzurro ghiaccio; con un abile gesto si strappò di dosso i pochi brandelli che ancora aderivano al suo corpo, lasciandola nuda nel suo splendore.
In un secondo accadde ciò che avevo previsto, ma poco mancò che rimanessi impreparato.
Saltò verso di me ed io contemporaneamente estrassi da sotto il bancone un lungo coltello, tenendolo in piedi di fronte a me.
La creatura vi cadde sopra pesantemente ed emise un gemito agghiacciante, dopodiché cercò di rialzarsi.
Rimase in ginocchio a guardarsi il torace dal quale fuoriusciva il manico bianco del coltello e un rivolo di sangue.
Sembrava sorpresa più dalla mia mancanza di amore che dalla ferita mortale che le avevo inferto.
“Male…detto. Possa tu non trovare mai più l’amore… aahh!”
E spirò.
Mi rialzai in fretta e presi un altro coltello da sotto il banco; non avevo il coraggio di estrarre quello infilzato nel costato della sirena.
Corsi nel ripostiglio e spalancai la porta, temendo il peggio. Ero quasi convinto che avrei trovato Mauro in un lago di sangue, con l’altra bestia al di sopra intenta a sbranarlo.
Il cuore mi si fermò nel petto, quando la vidi.
La sirena era seduta su una cassa, orrenda con quella sua schiena grigiastra irta di creste ricurve.
Si girò versò di me sorpresa, con Mauro inginocchiato davanti alle sue gambe divaricate.
Sibilò come un serpente, poi sul suo viso apparve un’espressione di odio selvaggio, forse aveva capito ciò che era capitato alla sorella:
“Cosa fai qui? Vattene! Dov’è Barbara?”
“Barbara ha ottenuto quello che meritava, ed ora toccherà a te.”
Mi spostai per vedere in che condizioni si trovava il mio amico, e notai che era ancora vestito e aveva uno sguardo inebetito; sembrava in trance.
“Mauro, allontanati! Sei in pericolo.”
Una scintilla di consapevolezza sembrò rianimare Mauro, il quale divenne in un attimo bianco come un cencio.
Lucrezia tornò a rivolgere la sua attenzione verso di lui e alzò un braccio per ghermirlo.
Ma fu questa sua distrazione ad esserle fatale.
Con un balzo le fui addosso e le piantai il coltello alla base del collo, e sangue copioso ne sgorgò fuori.
La creatura malefica si afflosciò addosso a Mauro, che si ritrasse urlando:
“Che schifo! Levamela di dosso!”
Lo aiutai a rialzarsi e mi sembrò che in quel momento lo shock prendesse il posto dello stato di inebetimento che aveva posseduto fino ad allora.
Scoppiò in pianto, e si prese la fronte nelle mani.
Lo afferrai per le spalle e lo scossi con decisione. Ora che l’adrenalina stava calando nelle mie vene, anch’io però stavo cominciando a tremare come una foglia.
“Dai, su. È passato tutto, ormai. Cosa ti ha fatto quel mostro?”
Mi fissò a lungo, prima di riafferrare il ricordo dei momenti passati in compagnia di Lucrezia, poi mi rispose con aria stupita:
“Non so cosa mia sia successo. Di solito sono timido con le donne, ma lei era così… dolce. Mi ha catturato con quella sua aria allo stesso tempo sexy e innocente. Ci siamo baciati a lungo, poi lei ha detto che desiderava un figlio da me… mi sento così sciocco a dirlo così, ma devi credermi, in quel momento non capivo più niente. Mi sono sentito tutt’a un tratto come in preda ad un forte desiderio.”
“È stata una sostanza chimica con cui ci hanno drogato; quindi avete fatto… ehm, qualcosa?”
“No, meno male che sei intervenuto tu, altrimenti avrei fatto una brutta fine.”
“Già, saresti finito tra le fauci di questo mostro.”
“Peggio; tu non sai, ma la cosa più terribile è che mi aveva prima convinto a chiederle… di sposarla”.


Fine
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #10 data: 10 Marzo 2010, 22:09:48 »
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Citazione da: marco.kapp il 10 Marzo 2010, 16:14:40

Barbara aveva mutato il suo volto. Ora era una ributtante creatura dalla pelle incartapecorita


mo breeeeeevo! chi hai plagiato (a scelta)?

- E. A. Poe, Gli occhiali
- G. Orwell, 1984
- L. Ariosto, Orlando furioso

:-D
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #11 data: 10 Marzo 2010, 22:12:05 »
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... senza dimenticare Dante, Purgatorio, il sogno della "sirena"

;-)
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Re:L'Antologia clandestina
« Rispondi #12 data: 11 Marzo 2010, 15:03:59 »
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Citazione da: dhr il 10 Marzo 2010, 22:09:48


mo breeeeeevo! chi hai plagiato (a scelta)?

- E. A. Poe, Gli occhiali
- G. Orwell, 1984
- L. Ariosto, Orlando furioso

:-D


Veramente mi sono... autoplagiato. Ho raccontato una vera escursione in bicicletta e una vera metafora di due donne che, come le sirene, hanno attirato un paio di uomini con il miraggio della bellezza e del piacere, per poi spolparli e lasciarli soli come un mucchietti di ossicini in un angolo.
Nella finzione, invece, i due protagonisti, nonostante fossero memori della loro esperienza precedente, per poco ci ricascavano.

P.S. però sarei curioso di leggere i riferimenti che hai menzionato. Di E. A. Poe ho una raccolta sostanziosa di racconti e poesie (acquistata 20 anni fa), ma non era compreso "Gli occhiali".
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